Musicoterapia, “arte effimera” ed efficace al tempo del coronavirus
Articolo di Paola Beltrami da State of mind – Il giornale delle scienze psicologiche
Mi sono chiesta: cosa scelgo? Aspettare la fine del lockdown perché non si può fare musicoterapia senza la presenza della persona, senza la risonanza corporea suscitata dal pianoforte a coda, o mi metto in gioco, ricerco modalità nuove?
Il segreto della musica risiede tra la vibrazione di chi suona e il battito del cuore di chi ascolta (Gibran)
Niente è più effimero della musica, non si tocca, non si vede… si ascolta, si suona, ma ogni accordo, ogni singolo suono dura anche meno di un istante per lasciare il posto a quello successivo. Eppure nella fusione di tanti singoli attimi sonori nascono musiche capaci di commuoverci, cioè di smuoverci dentro, di farci sorridere, piangere, sognare, sperare, pregare, amare…
L’arte effimera si fonda sul principio che ciò che conta è il percorso di creazione, il tempo, la durata, l’azione stessa di far nascere qualcosa di unico a partire, magari, da pochi elementi.
Torno con il pensiero alla mia infanzia. Adoravo preparare giochi. Disponevo le mie bambole o le mie barbie secondo l’ordine che avevo immaginato; quando ero un po’ più grande, le vestivo e curavo nei particolari. Oppure costruivo casette, allestivo negozi di frutta e verdura, e così via, ma poi quando tutto era pronto, cadeva l’interesse e non giocavo più. Quando sono diventata mamma ho giocato tanto con le mie bambine. Ricordo che anche con loro trasformavamo il divano in una tana, una casetta tutta per loro, oppure costruivamo con i lego abitazioni per i loro pupazzetti. Poi al momento di iniziare il gioco sentivo quella strana noia che avvertivo da bambina. Mi sono chiesta tante volte il perché. Poi ho capito che ciò che mi affascinava era il percorso, era l’azione creativa in sé, prima ancora del risultato e dell’effettiva possibilità di “usare” il materiale preparato.
Nella mia professione di musicoterapeuta sperimento quotidianamente l’arte effimera della musica. Musicoterapia è arte della comunicazione.
Musica, arte, comunicazione, tre termini che si richiamano l’un l’altro nel senso di un agire comune che scaturisce dal suono, dalla musica, perché la musica è dentro l’uomo prima ancora che esserne una sua produzione, per creare un dialogo, un ponte di collegamento, per superare chiusure, per sondare profondità emotive inesplorate, per scoprire o riscoprire la gioia di vivere.
Ma tutto ciò avviene a condizione che la musicoterapeuta sappia creare un dialogo sonoro con l’altro, che sappia leggere e tradurre in suoni non solo la sua corporeità, ma la persona nella sua interezza, e che lo sappia fare in modo bello e autentico. L’improvvisazione comunicativa è pienamente arte effimera. Ciò che conta non è la produzione musicale in sé, ma ciò che scaturisce dal suonare osservando e osservare suonando, come diciamo in gergo stretto. Più la musica rispecchia il bambino come “partitura vivente”, più è bella, perché anche i gesti più scoordinati, la voce più sgraziata, o i silenzi più tenebrosi, possono diventare musica che, attraverso la risonanza corporea (il bambino è seduto o sdraiato sul pianoforte a coda) fa convibrare il suo corpo e suscita in lui emozioni.
In questo tempo di isolamento ho scelto di essere vicina alle famiglie che seguo in musicoterapia proponendo loro una videochiamata settimanale (Fig. 1). Consapevole da subito che senza la presenza concreta, reale, del bambino avrei incontrato tanti limiti direi strutturali, non mi sono fatta abbattere, né da dall’impossibilità di avere il piccolo sul pianoforte, né dall’impossibilità di donargli una musica di qualità (il suono che arriva è talvolta molto metallico).
Credo che ogni situazione di vita possa insegnarci qualcosa. E ora, dopo qualche settimana di sperimentazione in questo senso, posso dire che sto imparando tanto.
E’ una gioia per me rivedere i volti cari dei bambini di settimana in settimana, e mi sto rendendo conto che è sempre più un momento atteso, non solo da loro, ma anche dalle loro famiglie. La mamma di Andrea (tutti i nomi sono inventati) ha raccontato che il bambino, quando veniva a terapia, esultava di gioia all’ultima curva, prima di parcheggiare l’auto. Quel posto noto, era per lui il segnale che l’ora di musica era finalmente arrivata. Ora accade la stessa cosa con il telefono. Quando la mamma chiama Andrea perché sta squillando il telefono per la videochiamata, lui grida di gioia, proprio come faceva in auto, un attimo prima di scendere.
Le attività proposte ai bambini sono molto varie, come è variegato il mondo famigliare che incontro al di là dello schermo. Ci sono famiglie che si preparano al momento e li trovo seduti al tavolo, papà, bimbo/a, mamma pronti a giocare, cantare, suonare insieme. C’è chi tira fuori dagli armadi piccoli strumenti musicali e chi li costruisce con gusto e fantasia, chi usa oggetti di recupero (pentole che diventano tamburi, pennarelli che fungono da legnetti), chi ha preparato immagini con le filastrocche del nostro repertorio.
Anch’io sto imparando. All’inizio pensavo di fare una chiamata di un paio di minuti. Ho organizzato un orario con una telefonata ogni quarto d’ora. Ben presto mi sono resa conto che quindici minuti sono un soffio. I bambini ascoltano, cantano, suonano, le famiglie sono coinvolte. Scaduto il tempo, davvero effimero, troppo fugace, sono sollevate, ma un poco dispiaciute. Ecco allora che ad alcuni ho proposto di fare telefonate di mezz’ora.
Si è reso necessario pensare e creare materiale da inviare in modo che i bambini, a seconda dell’età e del loro livello possano avere tra le mani spartiti adatti alle loro capacità, filastrocche illustrate, foto degli strumenti musicali che usiamo solitamente per il gioco del riconoscimento dei timbri sonori. Sì, perché forse è difficile crederlo, ma anche questo è possibile fare attraverso e nonostante il telefono.
Ah, dimenticavo, quelli di cui ho parlato sono bambini con autismo, sindromi genetiche, ipovisione, ritardi cognitivi e del linguaggio, paralisi cerebrali infantili….
Qualche volta riesco a dedicare un po’ di tempo anche ai genitori, al termine del nostro incontro virtuale, quando i bimbi ormai sono stanchi e soddisfatti.
Ritorno alla definizione di Musicoterapia come arte della comunicazione. Sto facendo terapia attraverso le videochiamate? Probabilmente no, ma non è questo il mio problema. Sto comunicando? Sicuramente sì, in modo nuovo. Se nel farsi carico della terapia c’è spesso anche la rottura degli schemi del bambino per favorire la sua apertura alla novità che la musica porta in sé e quando diventa dialogo, credo che la prima a rompere i propri schemi, in questo caso sono stata io.
Mi sono chiesta: cosa scelgo? Aspettare la fine di questo lungo periodo perché non si può fare musicoterapia senza la presenza della persona, senza la risonanza corporea suscitata dal pianoforte a coda, o mi metto in gioco, mi apro al nuovo, ricerco modalità nuove e diverse per comunicare con i miei piccoli pazienti e farlo in modo artistico, bello, divertente, per spezzare l’isolamento, per rompere la solitudine, per farmi sentire vicina a tante famiglie?
Ma purtroppo in questo momento non abbiamo altre possibilità. Dopo qualche settimana di sperimentazione ho chiesto ai genitori come vivono questa nuova modalità di incontro.
Qui di seguito la testimonianza di alcuni di loro.
Scrivono i papà di due bimbi di 7 e 6 anni con autismo:
“Questi dieci, quindici minuti diversi della giornata e della settimana servono molto a Nicola (tutti i nomi sono inventati) e gli fanno più che bene perché ti vede [si rivolge a me] e sente la tua voce, oltre che il suono del pianoforte. Questo momento difficile che tutti noi stiamo passando, lo è particolarmente per lui e per i bimbi con difficoltà simili. Il relazionarsi è uno dei problemi principali per loro…qualsiasi relazione intraprendano in questo momento è un toccasana”.
“Le terapie musicali con Paola, durante la “clausura”, si sono dimostrate di grande aiuto per Giorgio, gli hanno permesso di spezzare le interminabili giornate in casa. Inoltre l’incontro, anche se breve, ha una sua ritualità: ascoltiamo Paola suonare con la figlia Dolce sentire in una loro registrazione per arpa e violoncello, Giorgio la riconosce e comincia ad aspettare la chiamata. Lui non è sempre attento ma una volta terminato l’incontro virtuale, intona da solo le canzoni della lezione. È una bella esperienza che apprezziamo e ci aiuta molto”.
Anche la mamma di Riccardo risponde alla mia domanda di commentare questo nuovo corso di sedute online.
“Dopo tanti anni di musica con Paola, Riccardo ha fatto tanti progressi e iniziato a fare cose impensabili. Poi l’interruzione di tutto e il tutti a casa! […] Durante la prima videochiamata si è emozionato molto, poi ha sentito il suono del pianoforte e le note delle canzoni che conosce…. Per lui non è facile ascoltare, guardare Paola, cantare e seguire lo spartito con le note musicali. Ma si diverte.
In questi mesi sto imparando proprio dal mio bambino che se anche io cerco di mettere in fila tutto per dargli più opportunità e permettergli di fare tutte le esperienze a lui possibili, a volte la realtà può sorprenderci e anche negli imprevisti più impensabili, c’è nascosta una possibilità. In fondo nella mia vita Riccardo è stato ed è, nonostante tutto, un imprevisto meraviglioso!”.
Aggiunge la mamma di Elisa (sindrome di Rett, 14 anni)
“In questi anni, con l’aiuto della musicoterapia e di Paola, siamo riusciti ad avere miglioramenti a livello respiratorio, di motricità fine e comunicativo. In questo periodo difficile, quando siamo stati costretti a sospendere tutte le terapie, devo essere sincera, sono entrata in crisi, la paura di vedere Elisa regredire mi spaventava, ma la proposta di fare musicoterapia tramite videochiamate mi ha allettata. Elisa è sembrata da subito entusiasta e felice nel vedere Paola, così abbiamo allungato la durata dell’incontro a mezz’ora. Un altro aspetto molto divertente è la collaborazione della sorella Nadia di 8 anni. Lei dice che è molto contenta di poter interagire con la sorella e di poterla aiutare. In quei trenta minuti la trova più tranquilla e si rende conto che Elisa è felice di suonare e condividere questo momento con lei”.
Scrive la mamma di Lorenzo, 16 anni, con problemi visivi:
“Per noi è molto bello mantenere il ritmo delle attività con Lorenzo. In questo periodo faticoso per tutti, stiamo mantenendo un minimo di routine settimanale. Lorenzo ha accolto bene questa modalità di lezione, anche se per lui è faticoso mantenere la concentrazione e fa un po’ di fatica a capire la gestione degli spartiti musicali inviati. Comunque aspetta con ansia l’incontro con Paola… la cosa che notiamo è che dopo l’incontro canticchia le canzoni e rimane coinvolto dalla musica ancora per un’oretta. Lorenzo mi ha detto che gli piace molto la lezione fatta così perché vede Paola e canta le note. Però gli manca il pianoforte!”
Molti ancora sono gli scritti giunti a me dalle famiglie, questi sono stati scritti per condividere con il lettore un percorso inventato in questo duro tempo di isolamento per non lasciare sole le famiglie e mantenere il contatto con i bambini.
Concludo con il pensiero della mamma di Roberto, 6 anni con autismo.
“Una piccola finestra sulla vita di prima… Le videochiamate aiutano il mio bambino a capire che il mondo di prima non è sparito. Le persone con le quali abbiamo intrecciato relazioni ci sono e le possiamo vedere. Proviamo anche a fare le cose che facevamo prima insieme… la relazione si ricostruisce… la musica fa da ponte tra noi… lontani, ma vicini”.
Con queste parole così profonde e così vere, ritorno con il pensiero alla frase iniziale di Gibran:
“Il segreto della musica risiede tra la vibrazione di chi suona e il battito del cuore di chi ascolta”.
Ho ascoltato quel battito, ho sentito il dolore e l’insofferenza di genitori e bambini chiusi nelle loro case e ho reagito, reinventandomi la seduta di musicoterapia, e adattandone modi e contenuti ad ogni singola situazione. E i frutti di questa scelta non mancano!
Così oggi vedo e sento la forza e la bellezza di quel segreto… anche a distanza!