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Arpa terapia. Suoni che curano l’anima

Articolo di Paola Beltrami da State of mind – Il giornale delle scienze psicologiche

La prima domanda che immagino sorgere nel lettore è: Perché si parla di arpa terapia e non di musicoterapia con l’arpa? E poi, se esiste l’arpa terapia esiste anche la violino terapia, la piano terapia, l’oboe terapia? Cosa c’è di così unico nel suono dell’arpa tanto da affiancare la parola “terapia” per designare questo modo particolare di curare con i suoni? E quindi, da ultimo, che cos’è l’arpa terapia? Quali sono i suoi principi costitutivi e i suoi ambiti d’intervento?

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Sono arpista e musicoterapeuta. Dopo trent’anni di esperienza in musicoterapia mi sono affacciata al mondo dell’arpa terapia studiando e diplomandomi presso l’International Harp Therapy Program creato da Christina Tourin (la sua storia e la sua attività sono consultabili sul sito).

Prima di addentrarmi nella magia del suono dell’arpa, vorrei spendere due parole su ciò che arpa terapia non è, per fare pulizia di idee e di linguaggio.

Innanzitutto arpa terapia non è concertismo, nemmeno pensato al letto di un malato o in una hall di un ospedale. Nel libro Arpa terapia. Suoni che curano l’anima ho scritto:

Arpa terapia è qualcosa di unico, come un abito fatto su misura. Sebbene anche una buona musica ascoltata in un concerto possa far bene ed abbia sicuramente dei risvolti terapeutici, l’arpa terapia è qualcosa di altro e di più.

E’ suonare, improvvisando, la musica adatta alla persona, per favorirne il rilassamento, il lasciar andare le tensioni, l’affidarsi per rigenerarsi. E’ creare uno “spazio sacro”, una “culla del suono” che abbracci, accolga, custodisca il paziente/cliente. Perché il suono dell’arpa crea emozione, rilassamento, benessere, ottenuto da un profondo e tranquillizzante effetto sonoro, un vero e proprio massaggio corporeo semplice e naturale, compiuto dalle potenti ed avvolgenti vibrazioni che scaturiscono dallo strumento, quando l’arpa terapista improvvisa e suona ascoltando profondamente la persona che gli è affidata.

Arpa terapia è quindi fare musica con il cuore, creando momento dopo momento le sonorità adatte a generare benessere in chi ascolta. Il dialogo sonoro nasce ricalcando il ritmo respiratorio, trasformando con suoni e ritmi la corporeità della persona, le sue tensioni o rigidità, la sua postura, il timbro vocale, la gestualità, la mimica. E il dialogo, se è veramente tale, si trasforma, non è monologo a senso unico, ogni frase tiene conto della risposta dell’altro, vi si adegua, ascolta, accoglie, e lentamente conduce alla trasformazione, a modificare lo stato tonico-emotivo e a favorire la guarigione, intesa non come riduzione dello stato di malattia, ma come acquisizione di benessere fisiologico e interiore, pur persistendo, nella maggioranza dei casi, la patologia.

Infatti, l’etimologia della parola guarire è riconducibile all’antico germanico warjan = mettere al riparo, difendere, proteggere, a sua volta, dalla radice var- = guardare o anche coprire (entrambi nel senso di curare, proteggere). Identica radice si trova nell’inglese to ware = curare, proteggere. (Etimologia tratta daetimo italiano. Consultato il 2 gennaio 2021)

La guarigione è un quindi un duplice processo in quanto dipende sia dal malato che si lascia “guardare, proteggere, curare”, sia dall’arpa terapista che con la sua musica può mettere al riparo, custodire, sostenere e comprendere chi vi si affida.

Inoltre arpa terapia non è musicoterapia.

Usare l’arpa in musicoterapia è auspicato per generare un’attenzione d’ascolto profonda, intensa. L’arpa ha un timbro poco conosciuto, può stupire, incantare, proprio come il mito di Orfeo ci ricorda. Può penetrare in dialogo sonoro con il pianoforte a coda per amplificare l’effetto della risonanza e infondere una benefica energia in chi ascolta seduto sopra la sua casa armonica.

Ma usare l’arpa in musicoterapia non significa fare arpa terapia perché le due discipline, per quanto possano apparire differenti solo nell’uso dello strumento principale, hanno scopi e modi di approccio distinti.

L’arpa terapia non ha finalità che riguardano il cambiamento del comportamento della persona. Non si preoccupa che il bambino impari a parlare, o che la persona riprenda a camminare. È un “qui ed ora” in cui si crea una “Culla del suono” che agisce sul respiro, sul dolore, sul malessere dell’individuo e li trasforma. L’obiettivo principale riguarda prevalentemente la sfera emotiva che si manifesta nella fisiologia della persona. L’intervento non è continuativo come quello della musicoterapia e il beneficio che si ottiene dipende dalla qualità particolare del timbro del suono.

Ecco perché si parla di arpa terapia. Il potenziale curativo della terapia con i suoni dell’arpa sta proprio nella particolare caratteristica del timbro di questo strumento e del modo in cui le corde vengono pizzicate (Fig. 1)

Arpa terapia la musica e il suono come strumenti di cura Psicologia Fig 1

Fig. 1: L’arpa

Senza addentrarci nel difficile linguaggio della fisica acustica e in contenuti troppo specialistici, ci basti in questa sede ricordare che l’arpa è uno strumento a corde pizzicate con caratteristiche specifiche. La corda è pizzicata circa a metà della sua lunghezza. Questo crea un suono particolare (viene annullato il secondo armonico) che al nostro orecchio appare particolarmente puro, cristallino, angelico. Ogni corda pizzicata continua a vibrare a lungo a meno che non la si smorzi. La somma delle vibrazioni di una corda dopo l’altra e di più corde simultaneamente crea un impasto sonoro che avvolge la persona in ascolto.

I suoni si intrecciano, gli effetti di risonanza si sommano e raggiungono la persona che ascolta penetrando in profondità.

Non tutti i suoni risuonano nel corpo allo stesso modo. Non tutti i suoni raggiungono tutte le parti del corpo. Se mi pongo in ascolto, sia mentre suono, sia mentre ascolto, mi accorgo dei diversi punti di risonanza.

I suoni gravi convibrano nelle parti centrali e basse del corpo (addome, gambe, piedi), quelli più acuti li sentiamo nel torace, collo, testa. Anche noi siamo uno strumento musicale, decisamente il più bello e il più completo. Anche noi non possiamo sfuggire alle leggi di risonanza.

Inoltre nell’arpa non c’è mediazione tra dito e corda. Il dito trasmette alla corda l’intenzione e lo stato d’animo di chi suona. Le dita stringono e lasciano andare le corde in un gioco di tensione/rilassamento da cui scaturiscono i suoni.

Suonare è lasciare andare. Se dita, mani, braccia, spalle, schiena, sono tesi, il suono che si produce è teso, aspro. Come arpa terapista devo costantemente essere attenta a me stessa: come e con quanta profondità entro nelle corde? Come attacco il suono? Sono connessa con il mio corpo? Come posso rilassarmi per migliorare il mio suono?

E, nel momento in cui il suono esce dalle dita, dove e come si propaga? Sono in ascolto?

In arpa terapia è quasi più importante lo spazio e il tempo fra un suono e l’altro.

La fisica acustica diventa vita, relazione, compartecipazione, dialogo. Il dito che pizzica la corda fa sì che l’arpa diventi e sia lo specchio della mia anima. Non ci sono intermediari. Come sto? Che emozione voglio trasmettere?

Quando si pensa alla terapia, si immagina di solito un recuperare uno stato di salute che ci permette di condurre (nuovamente) una vita attiva, dinamica.

La terapia con l’arpa è innanzitutto un’occasione per ritrovare sé stessi. Curare con i suoni significa permettere alla persona di fare esperienza di tranquillità, serenità, pace, amore, speranza.

Gli effetti benefici non riguardano solo la sfera emotivo-esistenziale, ma anche – e di pari passo, direi – quella più strettamente fisiologica. Numerosi studi riportano infatti miglioramenti sia immediati, sia protratti nel tempo, come un maggiore rilassamento, miglioramento del sonno, diminuzione del dolore e dell’ansia, stabilizzazione dei parametri vitali e dell’umore. Ma non è tutto. A seconda dell’ambito di applicazione dell’arpa terapia, sono stati riscontrati effetti positivi specifici.

Ed arriviamo all’ultima domanda che mi sono posta all’inizio dell’articolo, quali sono gli ambiti di intervento dell’arpa terapia?

L’elenco è lungo perché man mano che questa disciplina si diffonde, si sperimenta in svariati contesti educativi, terapeutici e sociali ottenendo sempre ottimi risultati, oggi supportati anche da ricerche scientifiche. La rivista americana Harp Therapy Journal creata nel 1996 da Sara Williams raccoglie ogni anno studi, esperienze, ricerche all’avanguardia nell’ambito dell’arpa terapia.

Sicuramente un ambito molto importante è quello ospedaliero, a più livelli. L’arpa terapia fa bene al malato, ai famigliari e anche allo staff medico e sanitario.

L’arpa terapia trova applicazione in patologia neonatale, in pediatria, in cardiologia, in oncologia, in geriatria e nei reparti di lungo degenza.

La dolcezza del suo suono e il modo particolare in cui si propaga nello spazio, fanno dell’arpa uno strumento particolarmente adatto a

creare un ambiente rilassante per pazienti, famiglie, visitatori e personale,

-permettere ai pazienti ospedalieri e alle famiglie di concentrarsi su qualcosa di bello per distrarli dal dolore e donare loro speranza,

-vibrare e penetrare nei tessuti e nelle cellule del corpo,

-fornire una stimolazione sensoriale positiva,

-fornire cure palliative per i pazienti ospedalieri e per quelli in fase di transizione,

-migliorare gli effetti fisiologici, come tensione muscolare rilassata, maggiore ossigenazione, battito cardiaco più lento, abbassamento della pressione sanguigna.

L’arpa terapia può essere utilizzata in ambito educativo con bambini anche molto piccoli che frequentano l’asilo nido e la scuola dell’infanzia. Ascoltare con le mani o con i piedini le vibrazioni dell’arpa che si trasmettono alla cassa armonica è un’esperienza molto coinvolgente per i piccoli, è un modo per guidarli ad un ascolto profondo di sé, a percepire il proprio corpo, a familiarizzare con il suono e la musica. Chi è agitato si calma, chi è timido lentamente si avvicina e si lascia coinvolgere, chi proprio non riesce a star fermo, catturato dal suono, comincia ad avvertire le “formichine” o il solletico sotto le dita, si incuriosisce, si ferma, comincia ad ascoltare. E poi la magia della vibrazione delle corde, l’arte di pizzicarle per produrre suono, mette in atto la coordinazione occhio-mano, raffina la percezione fino alla punta delle dita, crea circuiti neuronali nuovi e prepara in modo naturale ad un uso sempre più preciso delle mani e delle dita che diventeranno prensione, manipolazione, scrittura.

Un altro importante ambito di intervento riguarda la disabilità. Almeno per due motivi, entrambi di natura fisico-acustica. Il primo è la risonanza, cioè il modo in cui le vibrazioni sonore si trasmettono al nostro corpo e lo fanno convibrare. In musicoterapia umanistica si parla di risonanza corporea. Il bambino seduto o sdraiato sul pianoforte è immerso nei suoni che la musicoterapeuta improvvisa calibrando ritmi, melodie e armonie in base alla situazione relazionale che si genera. Sono suoni che cullano, accarezzano, massaggiano, fanno sentire al bambino il proprio corpo e gli danno la percezione fisica ed emotiva di essere accolto, ascoltato, valorizzato per ciò che è, prima ancora che per quello che fa.

La trasmissione del suono dell’arpa è diversa da quella percepibile attraverso il coperchio del pianoforte a coda. Non si sta sopra il generatore del suono (lo strumento musicale), ma a fianco. Le onde sonore dell’arpa si propagano in tutto lo spazio circostante ed avvolgono, per risonanza, la persona. L’arpa poi si può abbracciare, se ne può sentire la vibrazione con le mani, i piedi, la testa, la pancia la schiena. La sensazione è quella di un massaggio sonoro che scioglie le tensioni, che libera, rilassa e rigenera. Immaginiamo allora come possano essere coinvolti in questo ascolto bambini con sordità, tetraparesi spastica, prematurità, autismo, difficoltà di attenzione, sindromi genetiche, ritardi psicomotori, ma anche del linguaggio, perché il suono entra nel profondo e favorisce il desiderio di aprirsi e comunicare.

Il secondo elemento è il timbro del suono unico dell’arpa (Fig. 2). Nei miei trent’anni di esperienza nell’ambito della musicoterapia ho sperimentato più volte la potenza del suono dell’arpa per superare le memorie del dolore. Ho lavorato con bambini down e cardiopatici che hanno subito importanti interventi chirurgici. Ebbene il suono dell’arpa, per lo più sconosciuto ai bambini o sicuramente meno noto di quello del pianoforte, ha favorito la rottura dello schema musica = dolore, innescato dalla scorpacciata di musica classica in filo diffusione subita durata il ricovero in terapia intensiva. Il timbro dell’arpa favorisce immagini emotive nuove (un bimbo cieco mi disse “la doccetta!” ascoltando in braccio a me il suono dolce delle melodie che improvvisavo per lui), stuzzica la curiosità generando un profondo rilassamento. E’ difficile resistere e persistere nelle proprie chiusure. Ricordo in pediatria un bimbo sfiancato dalla tosse persistente che durava da giorni. Avvicinatami con la mia arpa a lui, corse in braccio alla mamma e l’abbracciò forte. Smise di tossire e quasi si addormentò, con la mamma incredula e felice per quel momento di pace che nessuna medicina purtroppo aveva potuto darle.

Arpa terapia la musica e il suono come strumenti di cura Psicologia Fig 2

Fig. 2: Particolarità dello strumento

Altri ambiti di intervento dell’arpa terapia sono le carceri, dove è possibile attivare progetti per la riabilitazione dei detenuti sia attraverso l’ascolto della musica d’arpa, sia attraverso l’insegnamento dello strumento stesso.

Anche sugli anziani la musica d’arpa ha un effetto notevole, sia in sessioni individuali che come terapia di gruppo.

Per questo l’arpa terapia si sta diffondendo anche in Italia nelle residenze sanitarie assistenziali (Rsa). Non mi soffermo ora su questo tema perché merita una trattazione a parte. Vorrei solo avviarmi alla fine di questa carrellata citando l’ambito del fine vita e delle cure palliative, contesto in cui l’arpa terapia sta prendendo piede anche in Italia accompagnando con delicatezza e dolcezza tante persone a concludere il loro cammino terreno nel migliore dei modi.

Infine non posso non fare cenno del vasto ambito dello stress, dell’ansia, delle nevrosi in cui l’arpa terapia è un ottimo strumento per ritrovare serenità e lasciar andare le tensioni. Si lega a questo il contesto dello yoga e della meditazione, ambiti in cui la musica e il raccoglimento, l’autoascolto, la riflessione, si fondono in un tutt’uno rigenerante che porta a un nuovo equilibrio interiore.

Anche la preghiera, la contemplazione, sono arricchite dal suono dell’arpa, perché la musica che si diffonde nella chiesa calma anche gli animi più inquieti, dona pace, sollievo, serenità e apre le porte all’Infinito.

Concludendo, l’arpa terapia pur essendo una disciplina antica, si sta diffondendo solo da pochi decenni come trattamento complementare (non sostitutivo) alla medicina ufficiale. I suoi benefici effetti, oggi studiati e “misurati” in ricerche scientifiche, ne attestano la validità ed efficacia.

Molti sono gli ambiti in cui viene utilizzata e sicuramente molti altri sono ancora da esplorare.

Saper suonare l’arpa non basta per fare terapia. E’ la base di partenza, una buona partenza. Poi è necessaria una formazione seria e mirata, perché, come dicevo all’inizio, una cosa è suonare, un’altra è saper creare una “culla del suono” capace di accogliere la persona e di contribuire al suo processo di guarigione.

Musicoterapia Umanistica. La musicoterapeuta improvvisa. Il suo compito è quello di accogliere, rispettare, valorizzare il dolore attraverso il bello dell’arte.

Articolo di Paola Beltrami da State of mind – Il giornale delle scienze psicologiche

“Qual è il punto di forza e il punto fragile della tua musica?” mi ha chiesto recentemente Simone (nome inventato), un ragazzo di 12 anni con tetraparesi spastica. Non ero pronta alla domanda, ma la risposta è uscita immediata, istintiva e sincera. “La musica mi dà gioia. Suonare per tanti bambini e ragazzi mi rende felice. Questo è il mio punto di forza. La fragilità sta nella paura che talvolta ho nel suonare davanti a tante persone. Ma qui con te non ho paura”.

Da trent’anni suono quotidianamente per un pubblico davvero speciale. Sperimento ogni giorno la potenza della musica improvvisata in modo comunicativo per portare gioia, speranza, condivisione. Per far questo mi sono dovuta liberare dei condizionamenti e dei retaggi culturali acquisiti durante gli anni di studio in Conservatorio.

Dopo il diploma di arpa e di musicoterapia ho proseguito la mia formazione con la prof.ssa Giulia Cremaschi di Bergamo e ho avuto la fortuna (o la grazia, come dico io) di essere testimone e protagonista del farsi della Musicoterapia Umanistica in Italia. Ne ho seguito le fasi salienti, la costituzione della Associazione Pedagogia Musicale e Musicoterapia (APMM) che porta il nome della caposcuola e la nascita della Federazione Italiana Musicoterapeuti (FIM), di cui sono socio fondatore. Sto ultimando gli studi in arpa terapia presso l’International Harp Therapy Program (IHTP), con sede a Bologna.

Ho imparato sul campo a fare musica dal vivo, come, d’altra parte, è sempre avvenuto a partire dalla notte dei tempi. Nel corso della storia dell’uomo, infatti, la musica è sempre stata improvvisata e creata al momento.

La musica è espressione delle emozioni, di tutte le emozioni. Cosa accade in musicoterapia? Lungi dal fare spettacolo, o dall’utilizzare gli strumenti musicali in modo virtuosistico, si suona per portare gioia, vita, festa, laddove c’è sofferenza, dolore, chiusura, negazione. Si suona improvvisando per destare l’ascolto in un’altra persona.

Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo e di unico. Ogni singolo uomo è una cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo. (M. Buber in Cremaschi Trovesi, 2014)

Questo è vero anche per la persona che nasce con una disabilità, o che per motivi diversi incontra la malattia e l’handicap nel corso della sua vita?

Siamo abituati a chiudere le persone in categorie: cerebroleso, sordo, cieco, autistico, down… e la riabilitazione usa programmi diversi a seconda della patologia. Bisogna rispettare il protocollo. La visione umanistica allarga lo sguardo alla persona, alla sua unicità. Musicoterapeuta e paziente sono risorsa l’uno per l’altro e insieme si mettono in gioco. È “l’esserci” fenomenologico (Cremaschi Trovesi, 2014). Dalle risposte della persona, la musicoterapeuta comprende quanto lei stessa riponga o meno fiducia nella persona che gli è affidata. Nella pratica musicale creativa è messa alla prova la stima per la persona al di là di ciò che essa lascia trapelare di sé o che la diagnosi ha sentenziato.

Tutto comincia con l’ascolto. Quale ascolto?

Operare in musicoterapia significa portare l’ascolto a livello di arte di ascoltare. Sì, perché ascoltare è un’arte, ma anche farsi ascoltare è un’arte. Non è scontato accorgersi di ricevere le vibrazioni di uno strumento musicale. Non è scontato che un bambino senta con tutto il corpo le vibrazioni di una pelle di tamburo, o quelle della cassa armonica del pianoforte a coda (Balestracci Beltrami, 2009a).

L’aria trasmette le onde sonore. In assenza dell’aria non può esserci trasmissione delle onde sonore, perché un corpo in vibrazione non può generare onde sonore. Le onde sonore coinvolgono tutto quello che incontrano: gas, liquidi e solidi. Il convibrare delle onde sonore è risuonare. La riflessione del suono è eco (Righini, 1994). Ad ogni respiro l’aria entra ed esce dal nostro corpo. Ad ogni respiro rinnoviamo il nostro convibrare con il mondo.

La nostra voce è aria inspirata che, premuta verso l’esterno, si trasforma in onde sonore. Quindi anche le parole sono onde sonore, aria in movimento. La parola è suono (Cremaschi Trovesi, 2014). Il suono ha una duplice definizione (Righini, 1994):

  1. sensazione uditiva determinata da vibrazione acustica,
  2. vibrazione acustica determinata da sensazione uditiva.

Il suono è quindi relazione tra un corpo elastico in grado di produrre vibrazioni (fonte del suono) e un corpo elastico in grado di riceverle.

Il suono è un fenomeno complesso. Quando pensiamo di percepire un suono, in realtà riceviamo la risultanza, nella simultaneità, di una frequenza fondamentale e dei suoi armonici. Una cosa è sapere cosa sono gli armonici, una cosa è ascoltare e scoprirne la presenza nel nostro corpo vibrante.

Le onde sonore raggiungono il nostro corpo in base alla relazione frequenza – volume. A volumi grandi corrispondono frequenze gravi, a volumi sempre più piccoli corrispondono frequenze sempre più acute. Pensiamo alla famiglia degli strumenti ad arco: contrabbasso, violoncello, viola, violino, o alla cordiera di un’arpa, dalle corde lunghe e grosse dei suoni gravi a quelle sottili e corte dei suoni più acuti, o, infine, a quanto la natura ci mostra attraverso il muggito possente di una mucca e il cinguettio melodioso di un uccellino. Lo stesso avviene nel nostro corpo, costituito da una serie di cavità risonanti (anche se cave non sono!) sovrapposte.

Tutto il corpo è impegnato nel produrre suoni con la voce, tutto il corpo è impegnato nella ricezione. Non si ascolta solo con le orecchie. Il protagonista dell’ascolto e del farsi della voce, del canto, della parola è quindi il corpo, il corpo vibrante. L’orecchio è specializzato nel ricevere e distinguere le frequenze armoniche. Le frequenze fondamentali passano attraverso il corpo. L’orecchio è dentro il corpo. L’aria è in movimento intorno a noi, dentro a noi (respiro) consentendoci l’ascolto e la produzione dei suoni (voce).

L’essere umano è un corpo vibrante come qualunque altro essere vivente sulla terra. La ricezione delle onde sonore è regolata dalle leggi fisiche della risonanza: un corpo atto a vibrare mette in vibrazione un altro corpo atto a vibrare con le medesime frequenze. In altre parole si ha risonanza quando una forza esterna agisce su un sistema fisico con una frequenza capace di amplificare il moto del sistema stesso. La risonanza è una realtà come la forza di gravità, alla quale non possiamo sottrarci. È così reale da essere stata dimenticata. La risonanza corporea caratterizza la vita di ogni uomo a partire dal grembo materno, la prima orchestra.

Il suono è all’origine delle nostre esperienze, delle nostre emozioni, della nostramemoria. La vita prima della nascita è relazione per eccellenza. Ogni essere umano, nuovo e unico, è stato accolto e si è formato nella relazione. Il grembo materno è la prima orchestra.

La parola nasce nel e dal canto. La voce è espressione delle emozioni. La voce è ricca di risonanze armoniche, è suono per eccellenza. Vocali e consonanti hanno una natura diversa. Le prime hanno formanti armoniche specifiche e dipendono dalla posizione della bocca e delle labbra. A parità di intonazione, la U è la vocale con formanti armoniche più gravi, la I è quella con le formanti armoniche più acute. Le consonanti sono timbri sonori, articolazione di bocca, labbra e lingua che nella maggior parte dei casi necessita della vocale per “suonare”: non a caso si chiamano con-sonanti.

Parola e suono hanno caratteristiche in comune. Ogni parola pronunciata è la sintesi di timbro, altezza, intensità, durata che sono anche gli attributi del suono:

  • timbro (vocali e consonanti)
  • altezza (intonazione della voce, melodia della parola e della frase)
  • intensità (non solo il volume della parola, ma anche il susseguirsi degli accenti)
  • durata (ritmo della parola e della frase che ne favorisce la comprensione e l’espressione emotiva)

Cosa accade quando un bambino è seduto o sdraiato sulla cassa armonica del pianoforte a coda? Come agiscono le onde sonore dentro di lui? Come suonare per favorire il cambiamento? Andiamo con ordine.

Gli strumenti acustici, nati come prolungamento del corpo umano, producono onde vibratorie attraverso l’amplificazione delle casse di risonanza (riproduzione del Corpo Vibrante). Il pianoforte a coda presenta il vantaggio di una grande cassa di risonanza e una vasta gamma di frequenze (da Hz 27,50 per il tasto più grave, a Hz 4184 per quello più acuto). Per buona parte della seduta di musicoterapia, il bambino o ragazzo è seduto o sdraiato sul coperchio del pianoforte a coda, in modo da essere avvolto, immerso e cullato nelle onde sonore che lo raggiungono per risonanza.

La musicoterapeuta suona osservando ed osserva suonando, cosciente del ruolo comunicativo che realizza nel gioco creativo dei suoni.

Improvvisare è creare la musica per rispecchiare, favorire accompagnare una persona a non sentirsi sola, per andare verso processi naturali di cambiamento e trasformazione.

Sulla tastiera, in ogni momento, genera sonorità, ritmi, melodie, armonie con i quali “parla”, guida, asseconda, accompagna, approva, reagisce ecc. secondo ciò che caratterizza il “noi” del dialogo. L’empatia prende corpo, prende suono attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte (Balestracci Beltrami, 2018b)

Ogni esperienza, positiva o negativa si imprime nel corpo. Le emozioni si manifestano all’esterno attraverso il movimento, i gesti, le posture, gli sguardi, il farsi della voce. Le emozioni non sono buone o cattive, sono emozioni. Entrare nel cuore del dolore, della sofferenza, della rabbia attraverso la musica: questo è la musicoterapia.

Il bello dell’arte insito nel dialogo creato dall’improvvisazione comunicativa al pianoforte, favorisce il sorgere di qualcosa di imprevedibile. Le emozioni sono apprezzate e valorizzate. Si apre la via verso qualcosa di nuovo. Il nuovo e il bello possono anche fare paura. Riconoscere, ammettere la paura e attraversarla, porta verso la gioia di vivere.

L’improvvisazione musicale è formata da ritmi, melodie, accordi creati al momento per far sorgere l’ascolto dell’altra persona.
Il valore dell’improvvisazione musicale emerge solo se è dialogo. Il dialogo attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte, traduce in musica le emozioni del bambino.  La musicoterapeuta improvvisa con la consapevolezza delle emozioni proprie e altrui. Suo compito è accogliere, rispettare, valorizzare il dolore attraverso il bello dell’arte.

Possiamo fingere di non comprendere le parole, possiamo chiudere gli occhi (e anche le orecchie), ma non possiamo sottrarci al suono. Le onde sonore sono onde di energia, ci raggiungono anche se non ce ne accorgiamo. Fanno vibrare il corpo attraverso la risonanza.

La musicoterapeuta legge la Partitura Vivente, termine coniato da Edith Stein (Di Pinto, 2002), che sta davanti a lei. Si tratta di lettura, non di interpretazione, perché il corpo vibrante di emozioni è lo strumento originario. Il bambino si sente accolto, ascoltato, valorizzato perciò che è prima ancora che per quello che sa fare. Alcuni modelli di musicoterapia distinguono quella attiva (il paziente suona o canta) da quella passiva (che comprende solo l’ascolto).

La Musicoterapia Umanistica, “Arte della Comunicazione” (termine coniato da Giulia Cremaschi Trovesi, caposcuola della Musicoterapia Umanistica), non pone questa separazione. Il bambino o ragazzo (partitura vivente) è protagonista della sua crescita e del suo cambiamento, perché attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte si crea  uno spazio di ascolto e stimolo all’interno del quale ogni individuo, nell’emozione dei suoni, può conoscere sé stesso ed accedere alle proprie personali risorse. Il pianoforte a coda è utilizzato per la vasta gamma di frequenze a disposizione (da 27,50 Hz a 4186 Hz) e l’ampiezza della cassa armonica. Gli altri strumenti acustici a corda, a fiato, a membrana e a percussione, sono usati in base alle esigenze che si creano nel contesto della terapia.

Le onde sonore, cullano, avvolgono, penetrano in profondità, favorendo la percezione del proprio corpo e il riconoscimento delle proprie emozioni. I genitori presenti condividono le emozioni in gioco, lentamente lasciano andare anche le loro resistenze. Arrivano spesso esausti, affaticati, in ansia o depressi per le fatiche che la situazione comporta e vanno via rilassati, rianimati, oserei dire ringiovaniti, perché la musica fa bene anche a loro.

La nascita spontanea del linguaggio verbale dipende in gran parte dalla relazione adulto bambino. Genitori che cantano e giocano con i loro figli favoriscono istintivamente il processo di crescita psicomotoria e di apprendimento naturale del linguaggio. Il gioco musicale con tanti strumenti messi a disposizione, il dialogo sonoro, l’improvvisazione comunicativa al pianoforte creano un contesto di opportunità costruttivo. Non c’è nulla da interpretare, l’importante è vivere, condividere le emozioni generate nell’esperienza. La musica così concepita fa bene, oserei dire, a chi la fa e a chi la riceve perché nel dialogo che si crea tutti sono protagonisti.

La Musicoterapia Umanistica non è una teoria (Balestracci Beltrami, 2018c). Essa è nata dall’esperienza con bambini audiolesi fatta dalla prof.ssa  Giulia Cremaschi Trovesi presso l’Istituto sordomuti di Torre Boldone (BG) più di quarant’anni fa. Quello è stato l’inizio. Poi gli studi e l’incontro con centinai a di bambini affetti dalle patologie più disparate le ha fatto maturare un approccio che ha trovato doppia conferma, oserei dire professionale e istituzionale.

Da una parte le equipe medico/riabilitative che hanno in carico i piccoli pazienti seguiti in musicoterapia in molte città italiane hanno riconosciuto i benefici che derivano da questo intervento (confermati e “misurati” da appositi test e riguardanti sfera della relazione, comunicazione, sviluppo psicomotorio, del linguaggio verbale e cognitivo), tanto da richiederlo come parte integrante del percorso terapeutico dei bambini. Tali esiti, un tempo esclusiva della Cremaschi e dei primi professionisti che l’hanno seguita, tanto da far pensare che ci fosse qualcosa di “magico” nel suo modo di agire, sono oggi competenza di molti. E questo conferma la validità e la scientificità dell’approccio umanistico della musicoterapia.

D’altra parte l’adesione volontaria della FIM alla legge 4/13 (HERE) sulle nuove professioni e la partecipazione alla stesura della norma tecnica UNI conseguente alla legge stessa, hanno portato la Musicoterapia Umanistica della Cremaschi ad essere un’apripista nel complesso mondo della musicoterapia italiana. A partire dall’ottobre 2015, la FIM è regolamentata in base alla norma UNI 11592 sulle Arti terapie e i suoi professionisti sono certificati all’interno di questi parametri legislativi.

Nel 2016 è iniziato il primo Corso quadriennale di Musicoterapia Umanistica “Giulia Cremaschi Trovesi” patrocinato da FIM, APMM (fondata nel 1991) e Conservatorio “G. Donizetti” di Bergamo, impostato secondo le linee guida di abilità, conoscenze e competenze della norma tecnica UNI 11592. Nel luglio 2020, inizierà un nuovo quadriennio di studi aperto a musicisti con formazione formale o informale che corrisponda al quadro europeo delle qualifiche EQF 6 (laura o diploma di primo livello).

Dopo anni di sterili disquisizioni tra il mondo accademico musicale e quello medico sulla formazione del musicoterapeuta, la legge 4/13, la norma UNI 11592 e la successiva certificazione hanno dato ragione ad una musicoterapia fatta di suoni e di musica che diventano dialogo, vita e speranza per le persone che ci sono affidate.

Musicoterapia, “arte effimera” ed efficace al tempo del coronavirus

Articolo di Paola Beltrami da State of mind – Il giornale delle scienze psicologiche

Mi sono chiesta: cosa scelgo? Aspettare la fine del lockdown perché non si può fare musicoterapia senza la presenza della persona, senza la risonanza corporea suscitata dal pianoforte a coda, o mi metto in gioco, ricerco modalità nuove?

Il segreto della musica risiede tra la vibrazione di chi suona e il battito del cuore di chi ascolta (Gibran)

Niente è più effimero della musica, non si tocca, non si vede… si ascolta, si suona, ma ogni accordo, ogni singolo suono dura anche meno di un istante per lasciare il posto a quello successivo. Eppure nella fusione di tanti singoli attimi sonori nascono musiche capaci di commuoverci, cioè di smuoverci dentro, di farci sorridere, piangere, sognare, sperare, pregare, amare…

L’arte effimera si fonda sul principio che ciò che conta è il percorso di creazione, il tempo, la durata, l’azione stessa di far nascere qualcosa di unico a partire, magari, da pochi elementi.

Torno con il pensiero alla mia infanzia. Adoravo preparare giochi. Disponevo le mie bambole o le mie barbie secondo l’ordine che avevo immaginato; quando ero un po’ più grande, le vestivo e curavo nei particolari. Oppure costruivo casette, allestivo negozi di frutta e verdura, e così via, ma poi quando tutto era pronto, cadeva l’interesse e non giocavo più. Quando sono diventata mamma ho giocato tanto con le mie bambine. Ricordo che anche con loro trasformavamo il divano in una tana, una casetta tutta per loro, oppure costruivamo con i lego abitazioni per i loro pupazzetti. Poi al momento di iniziare il gioco sentivo quella strana noia che avvertivo da bambina. Mi sono chiesta tante volte il perché. Poi ho capito che ciò che mi affascinava era il percorso, era l’azione creativa in sé, prima ancora del risultato e dell’effettiva possibilità di “usare” il materiale preparato.

Nella mia professione di musicoterapeuta sperimento quotidianamente l’arte effimera della musica. Musicoterapia è arte della comunicazione.

Musica, arte, comunicazione, tre termini che si richiamano l’un l’altro nel senso di un agire comune che scaturisce dal suono, dalla musica, perché la musica è dentro l’uomo prima ancora che esserne una sua produzione, per creare un dialogo, un ponte di collegamento, per superare chiusure, per sondare profondità emotive inesplorate, per scoprire o riscoprire la gioia di vivere.

Ma tutto ciò avviene a condizione che la musicoterapeuta sappia creare un dialogo sonoro con l’altro, che sappia leggere e tradurre in suoni non solo la sua corporeità, ma la persona nella sua interezza, e che lo sappia fare in modo bello e autentico. L’improvvisazione comunicativa è pienamente arte effimera. Ciò che conta non è la produzione musicale in sé, ma ciò che scaturisce dal suonare osservando e osservare suonando, come diciamo in gergo stretto. Più la musica rispecchia il bambino come “partitura vivente”, più è bella, perché anche i gesti più scoordinati, la voce più sgraziata, o i silenzi più tenebrosi, possono diventare musica che, attraverso la risonanza corporea (il bambino è seduto o sdraiato sul pianoforte a coda) fa convibrare il suo corpo e suscita in lui emozioni.

In questo tempo di isolamento ho scelto di essere vicina alle famiglie che seguo in musicoterapia proponendo loro una videochiamata settimanale (Fig. 1). Consapevole da subito che senza la presenza concreta, reale, del bambino avrei incontrato tanti limiti direi strutturali, non mi sono fatta abbattere, né da dall’impossibilità di avere il piccolo sul pianoforte, né dall’impossibilità di donargli una musica di qualità (il suono che arriva è talvolta molto metallico).

Credo che ogni situazione di vita possa insegnarci qualcosa. E ora, dopo qualche settimana di sperimentazione in questo senso, posso dire che sto imparando tanto.

E’ una gioia per me rivedere i volti cari dei bambini di settimana in settimana, e mi sto rendendo conto che è sempre più un momento atteso, non solo da loro, ma anche dalle loro famiglie. La mamma di Andrea (tutti i nomi sono inventati) ha raccontato che il bambino, quando veniva a terapia, esultava di gioia all’ultima curva, prima di parcheggiare l’auto. Quel posto noto, era per lui il segnale che l’ora di musica era finalmente arrivata. Ora accade la stessa cosa con il telefono. Quando la mamma chiama Andrea perché sta squillando il telefono per la videochiamata, lui grida di gioia, proprio come faceva in auto, un attimo prima di scendere.

Le attività proposte ai bambini sono molto varie, come è variegato il mondo famigliare che incontro al di là dello schermo. Ci sono famiglie che si preparano al momento e li trovo seduti al tavolo, papà, bimbo/a, mamma pronti a giocare, cantare, suonare insieme. C’è chi tira fuori dagli armadi piccoli strumenti musicali e chi li costruisce con gusto e fantasia, chi usa oggetti di recupero (pentole che diventano tamburi, pennarelli che fungono da legnetti), chi ha preparato immagini con le filastrocche del nostro repertorio.

Anch’io sto imparando. All’inizio pensavo di fare una chiamata di un paio di minuti. Ho organizzato un orario con una telefonata ogni quarto d’ora. Ben presto mi sono resa conto che quindici minuti sono un soffio. I bambini ascoltano, cantano, suonano, le famiglie sono coinvolte. Scaduto il tempo, davvero effimero, troppo fugace, sono sollevate, ma un poco dispiaciute. Ecco allora che ad alcuni ho proposto di fare telefonate di mezz’ora.

Si è reso necessario pensare e creare materiale da inviare in modo che i bambini, a seconda dell’età e del loro livello possano avere tra le mani spartiti adatti alle loro capacità, filastrocche illustrate, foto degli strumenti musicali che usiamo solitamente per il gioco del riconoscimento dei timbri sonori. Sì, perché forse è difficile crederlo, ma anche questo è possibile fare attraverso e nonostante il telefono.

Ah, dimenticavo, quelli di cui ho parlato sono bambini con autismo, sindromi genetiche, ipovisione, ritardi cognitivi e del linguaggio, paralisi cerebrali infantili….

Qualche volta riesco a dedicare un po’ di tempo anche ai genitori, al termine del nostro incontro virtuale, quando i bimbi ormai sono stanchi e soddisfatti.

Ritorno alla definizione di Musicoterapia come arte della comunicazione. Sto facendo terapia attraverso le videochiamate? Probabilmente no, ma non è questo il mio problema. Sto comunicando? Sicuramente sì, in modo nuovo. Se nel farsi carico della terapia c’è spesso anche la rottura degli schemi del bambino per favorire la sua apertura alla novità che la musica porta in sé e quando diventa dialogo, credo che la prima a rompere i propri schemi, in questo caso sono stata io.

Mi sono chiesta: cosa scelgo? Aspettare la fine di questo lungo periodo perché non si può fare musicoterapia senza la presenza della persona, senza la risonanza corporea suscitata dal pianoforte a coda, o mi metto in gioco, mi apro al nuovo, ricerco modalità nuove e diverse per comunicare con i miei piccoli pazienti e farlo in modo artistico, bello, divertente, per spezzare l’isolamento, per rompere la solitudine, per farmi sentire vicina a tante famiglie?

Ma purtroppo in questo momento non abbiamo altre possibilità. Dopo qualche settimana di sperimentazione ho chiesto ai genitori come vivono questa nuova modalità di incontro.

Qui di seguito la testimonianza di alcuni di loro.

Scrivono i papà di due bimbi di 7 e 6 anni con autismo:

Questi dieci, quindici minuti diversi della giornata e della settimana servono molto a Nicola (tutti i nomi sono inventati) e gli fanno più che bene perché ti vede [si rivolge a me] e sente la tua voce, oltre che il suono del pianoforte. Questo momento difficile che tutti noi stiamo passando, lo è particolarmente per lui e per i bimbi con difficoltà simili. Il relazionarsi è uno dei problemi principali per loro…qualsiasi relazione intraprendano in questo momento è un toccasana”.

Le terapie musicali con Paola, durante la “clausura”, si sono dimostrate di grande aiuto per Giorgio, gli hanno permesso di spezzare le interminabili giornate in casa. Inoltre l’incontro, anche se breve, ha una sua ritualità: ascoltiamo Paola suonare con la figlia Dolce sentire in una loro registrazione per arpa e violoncello, Giorgio la riconosce e comincia ad aspettare la chiamata. Lui non è sempre attento ma una volta terminato l’incontro virtuale, intona da solo le canzoni della lezione. È una bella esperienza che apprezziamo e ci aiuta molto”.

Anche la mamma di Riccardo risponde alla mia domanda di commentare questo nuovo corso di sedute online.

Dopo tanti anni di musica con Paola, Riccardo ha fatto tanti progressi e iniziato a fare cose impensabili. Poi l’interruzione di tutto e il tutti a casa! […] Durante la prima videochiamata si è emozionato molto, poi ha sentito il suono del pianoforte e le note delle canzoni che conosce…. Per lui non è facile ascoltare, guardare Paola, cantare e seguire lo spartito con le note musicali. Ma si diverte.

In questi mesi sto imparando proprio dal mio bambino che se anche io cerco di mettere in fila tutto per dargli più opportunità e permettergli di fare tutte le esperienze a lui possibili, a volte la realtà può sorprenderci e anche negli imprevisti più impensabili, c’è nascosta una possibilità. In fondo nella mia vita Riccardo è stato ed è, nonostante tutto, un imprevisto meraviglioso!”.

Aggiunge la mamma di Elisa (sindrome di Rett, 14 anni)

In questi anni, con l’aiuto della musicoterapia e di Paola, siamo riusciti ad avere miglioramenti a livello respiratorio, di motricità fine e comunicativo. In questo periodo difficile, quando siamo stati costretti a sospendere tutte le terapie, devo essere sincera, sono entrata in crisi, la paura di vedere Elisa regredire mi spaventava, ma la proposta di fare musicoterapia tramite videochiamate mi ha allettata. Elisa è sembrata da subito entusiasta e felice nel vedere Paola, così abbiamo allungato la durata dell’incontro a mezz’ora. Un altro aspetto molto divertente è la collaborazione della sorella Nadia di 8 anni. Lei dice che è molto contenta di poter interagire con la sorella e di poterla aiutare. In quei trenta minuti la trova più tranquilla e si rende conto che Elisa è felice di suonare e condividere questo momento con lei”.

Scrive la mamma di Lorenzo, 16 anni, con problemi visivi:

Per noi è molto bello mantenere il ritmo delle attività con Lorenzo. In questo periodo faticoso per tutti, stiamo mantenendo un minimo di routine settimanale. Lorenzo ha accolto bene questa modalità di lezione, anche se per lui è faticoso mantenere la concentrazione e fa un po’ di fatica a capire la gestione degli spartiti musicali inviati. Comunque aspetta con ansia l’incontro con Paola… la cosa che notiamo è che dopo l’incontro canticchia le canzoni e rimane coinvolto dalla musica ancora per un’oretta. Lorenzo mi ha detto che gli piace molto la lezione fatta così perché vede Paola e canta le note. Però gli manca il pianoforte!

Molti ancora sono gli scritti giunti a me dalle famiglie, questi sono stati scritti per condividere con il lettore un percorso inventato in questo duro tempo di isolamento per non lasciare sole le famiglie e mantenere il contatto con i bambini.

Concludo con il pensiero della mamma di Roberto, 6 anni con autismo.

Una piccola finestra sulla vita di prima… Le videochiamate aiutano il mio bambino a capire che il mondo di prima non è sparito. Le persone con le quali abbiamo intrecciato relazioni ci sono e le possiamo vedere. Proviamo anche a fare le cose che facevamo prima insieme… la relazione si ricostruisce… la musica fa da ponte tra noi… lontani, ma vicini”.

Con queste parole così profonde e così vere, ritorno con il pensiero alla frase iniziale di Gibran:

Il segreto della musica risiede tra la vibrazione di chi suona e il battito del cuore di chi ascolta”.

Ho ascoltato quel battito, ho sentito il dolore e l’insofferenza di genitori e bambini chiusi nelle loro case e ho reagito, reinventandomi la seduta di musicoterapia, e adattandone modi e contenuti ad ogni singola situazione. E i frutti di questa scelta non mancano!

Così oggi vedo e sento la forza e la bellezza di quel segreto… anche a distanza!

Il suono e la musica all’origine della relazione, del movimento e del linguaggio – I benefici della Musicoterapia Umanistica – Parte Terza

Paola Beltrami in Neuroscienze.net

Parte terza: i benefici della Musicoterapia Umanistica

La musicoterapia Umanistica è un approccio multidisciplinare nato sul “campo”. La teoria, o meglio le teorie sono state elaborate nel tempo da un gruppo di professionisti che insieme a Giulia Cremaschi ne hanno accolto  il messaggio ed hanno deciso di studiare e verificare gli effetti del suono e della risonanza sul corpo umano, non tanto come sollecitazione di stimolo-risposta, ma come qualità della vita di relazione che il suono e la musica favoriscono. I benefici effetti della musicoterapia riguardano la sfera dell’ autonomia, della relazione e della vita emotiva, dello sviluppo sensoriale e motorio prassico, dello sviluppo cognitivo, della comunicazione e del linguaggio, degli apprendimenti.

La musica fa bene

La musicoterapia umanistica non è una teoria. Essa è nata dall’esperienza della professoressa Giulia Cremaschi con i bambini audiolesi dell’Istituto Sordomuti a Torre Boldone (BG) e dalla sua professionalità spesa in più di 40 anni di lavoro nelle classi delle scuole primarie, nelle scuole dell’infanzia e asili nido, nell’ex Istituto magistrale, nell’attività di terapia sorta per rispondere alle sempre maggiori richieste del territorio bergamasco e non solo.

Quando l’ho conosciuta, nel lontano 1988 abbiamo istituito gruppi di formazione permanente (che durano tuttora). E’ nata un’associazione l’APMM (Associazione Pedagogia Musicale e Musicoterapia) e la F.I.M., Federazione Italiana Musicoterapeuti, di cui sono socio fondatore.

Nel 2016 ha preso avvio il primo corso di Musicoterapia Umanistica “Giulia Cremaschi Trovesi”, corso con qualificazione di primo livello.

Dallo studio e dalla condivisione delle nostre esperienze di professionisti e docenti, sono sorte le riflessioni che seguono. Solo per motivi espositivi separo i vari aspetti. La pratica ci ha insegnato che il progresso dei bambini è sempre su più fronti, contemporaneamente.

Autonomia

“Da solo” è un’espressione che sento molto di frequente: sono le mamme e o le insegnanti che ritmano con questa parola quasi ogni attività e ogni sequenza di attività del bambino.

Da tempo sto meditando sul valore di questo fare da solo che molto spesso non è preceduto dalla scoperta del bisogno dell’altro e dal piacere di condividere l’esperienza.

Ecco allora che ho incominciato a dire: “Insieme!”, “Facciamo insieme, giochiamo insieme, suoniamo insieme”.

E’ un capovolgimento di vedute.

E paradossalmente i risultati arrivano. Far da soli significa spesso lasciare solo proprio chi ha più bisogno della presenza e del calore dell’altro.

Nell’agire insieme si scopre la gioia delle proprie capacità, si condivide un’esperienza e le belle emozioni ad essa legati, ci si diverte perché si gioca in modo autentico e si esce dalla logica dell’esercizio e della ripetizione (sebbene anch’essi siano necessari per apprendere).

Il bambino si scopre capace, diventa capace e ben presto sarà lui a dire o far capire che vuole fare da solo…… dal tenere il segno al testo o allo spartito di una canzone, al batterne il ritmo, al mettere le mani al pianoforte per leggere e suonare le prime melodie.

L’autonomia nasce così dalla condivisione, dal vedere l’esempio che l’altro mi offre, dall’aspettare il proprio turno perché quando si gioca insieme, le regole non possono mancare, anzi sono proprie quelle che insegnano lo stare insieme e il trovare il proprio ruolo fino ad assumersi piccole responsabilità.

“Da solo” è allora una conquista, frutto di un cammino, vertice di un’esperienza condivisa.

Relazione ed aspetti affettivo/emotivi

Fare musica è il luogo e il tempo dell’ascolto, del dialogo, dell’accoglienza.

La creatività comunicativa generata dall’improvvisazione musicale provoca nel bambino curiosità, rompe gli schemi di chiusura o adattamento, smuove emozioni.

Il sentirsi ascoltato fa sorgere nel bambino il desiderio di coinvolgersi e partecipare. Possiamo sottrarci alle parole, al dialogo, al contatto fisico, ma non al suono che ci raggiunge, avvolge e penetra in ogni istante. La comunicazione coi suoni è affettiva. Il gioco suono – musica –silenzio –attesa crea attimi di ascolto: un battito di mano sul coperchio del pianoforte sopra il quale è seduto il bambino, un sorriso, uno sguardo fugace, la ripresa di un ritmo sono segnali di presenza su cui costruire insieme un percorso di fiducia e di apertura, perché il bambino, ogni bambino, è sensibile al “bello”.

Il genitore presente condivide le esperienze, ed entra nel gioco musicale (se lo desidera). L’ora di musica diventa il luogo per sfogarsi e rigenerarsi. La musica fa bene al corpo e allo spirito. E recentemente si è scoperto che fa bene anche alla famiglia.Uno studio dell’Università dell’Arizona, pubblicato sulla rivista Journal of Family Communicationha dimostrato che condividere esperienze musicali con i genitori fa bene perché migliora il rapporto con loro.

Sviluppo sensoriale e motorio prassico

La percezione delle onde sonore investe il corpo attraverso la Risonanza Corporea. Tutta la sensorialità si risveglia: vista, udito, tatto (ma anche olfatto e gusto in alcune situazioni) sono investite singolarmente e nelle sinestesie che si generano. Il bambino comincia ad ascoltare, a riconoscere, ricordare e poi discriminare i timbri sonori ascoltati; i colori e le forme in movimento lo attirano, le sonorità create per la situazione lo spingono e sostengono nello sforzo di rotolare, strisciare, gattonare, fino ad alzarsi in piedi, sorreggersi e fare i primi passi.

Gli strumenti idiofoni e a percussione stimolano la motricità fine, la coordinazione occhio –orecchio-

mano. Nel fare giocando tutto la persona è attratta a partecipare. La musica non è sottofondo, ma, grazie all’improvvisazione comunicativa, è dialogo che sostiene, sottolinea, rinforza, riempie, spinge, sostiene nello sforzo, aumenta la motivazione. E lentamente il bambino rinforza o riequilibra il tono corporeo, orienta lo sguardo, affina l’udito, migliora l’equilibrio, aumenta i tempi di attenzione che gli permettono esperienze via via più complesse.

Comunicazione e linguaggio

Il canto favorisce e sollecita il bambino all’uso della voce. Se poi il canto è inventato, cioè, in senso etimologico, trovato dentro la situazione comunicativa che si crea, stimola ancora di più il bambino a rispondere e vocalizzare a sua volta. La bocca che canta affascina il bambino che comincia a guardarla e a rispecchiarne i movimenti.Si mettono in atto processi di imitazione creativa consentita dall’attenzione, dall’intenzione comunicativa, dalla memoria, dal Corpo Vibrante che sa dosare la pressione del fiato nel farsi delle consonanti e vocali, dall’ascolto del dialogo.

Il bambino impara le filastrocche infantili e spesse le canta ancor prima di parlare. Molti bambini migliorano rapidamente nell’intenzionalità comunicativa e sviluppano con naturalezza il linguaggio. Altri, non potendo accedere alla parola, imparano ad esprimersi mediante l’intonazione della voce e il gesto. Anche i genitori, soprattutto le mamme, riscoprono la gioia del canto come veicolo di emozioni, comunicazione e dialogo con il figlio.

Sviluppo cognitivo

Capita frequentemente che dopo le prime sedute di musicoterapia le mamme riferiscano le prime impressioni delle insegnanti sul bambino: “sta più attento”, “è più coinvolto”, “è più aperto, meno irascibile”, “si impegna nelle consegne e nei compiti”.

Le indagini che hanno affrontato l’effetto della musica sul cervello dei bambini, hanno convenuto che provoca una attivazione della corteccia cerebrale, in particolare le aree frontali e occipitali, che operano nella trasformazione spaziale. Ma non solo. La musica stimola le connessioni neuronali e il percorso di apprendimento musicale mette in atto i processi di astrazione anche nei casi in cui sembrerebbero preclusi dalla patologia.

Il gioco musicale favorisce i processi di memoria, attenzione e concentrazione. Stimola la creatività e la fantasia, migliora l’espressione di sé, arricchisce la comprensione verbale, rinforza le abilità intellettive e l’autostima.

Attraverso i giochi musicali spesso il bambino si approccia in modo nuovo alla lettura e scopre che ciò che sembrava incodificabile (vocali e consonanti) non è così impossibile da decifrare. L’autostima riaffiora e con essa la il desiderio di apprendere.  Anche il numero (parte integrante della musica perché senza numero non c’è ritmo) comincia ad essere conosciuto ed esperito nella concretezza: uno e uno ancora accompagnato dalla successione di accordi che cadenza il gesto della mano che conta o del piede che salta. Spazio e tempo si incontrano nella musica e l’ordine che ne deriva fa riorientare il bambino e fa sviluppare in lui l’ordine perso a causa della patologia o di un percorso educativo a volte molto in salita. Ecco allora che l’apprendimento delle tabelline passa attraverso il suonare due, tre, quattro battiti alla volta. Non sono solo successione mnemoniche di numeri e parole.  Il clima di gioia e il buon umore caratterizzano le sedute. Solo ciò che si impara mediante emozioni positive rimane come bagaglio della persona. Anche per questo la musica è di grande aiuto allo sviluppo cognitivo dei bambini.

Apprendimenti

Conoscere la notazione è conoscere sé stessi attraverso la corporeità. L’apprendimento della notazione rappresenta la sintesi delle esperienze vissute.

In questi anni sono molti i bambini che hanno intrapreso l’educazione musicale come naturale proseguimento del percorso di terapia. È un grande piacere osservare con quale passione e determinazione affrontano lo sforzo di imparare a leggere le note sul pentagramma, a riconoscere i suoni ascoltati, a riprodurli sullo strumento sia esso un flauto, un metallofono, il pianoforte.

Sono bambini audiolesi, ipovedenti, portatori di sindromi genetiche, autismo, o che hanno esiti di paralisi cerebrali. Nulla per loro è scontato. E se il percorso non è rigorosamente coerente e ricco di emozioni positive e gratificanti, lo sforzo rischia di essere nullo.

La difficoltà maggiore è comunicare all’esterno quanto accade in terapia. L’adulto che non conosce la musica o che ha avuto con essa un passato burrascoso, spesso sottovaluta i risultati e il percorso che si è fatto per arrivare a quei risultati.

Conclusioni

“Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo e di unico. Ogni singolo uomo è una cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo” (M. Buber). A volte però, le cose non vanno come si vorrebbe. Quando sopraggiunge un incidente di percorso prima, durante o dopo la nascita, diventa arduo dare ascolto e credere al valore irripetibile di ogni persona. La diagnosi prende il sopravvento e la persona diventa la somma dei suoi sintomi, e viene relegata, letta e vissuta solo all’interno della cornice diagnostica.

I genitori si affidano ai rigidi protocolli della riabilitazione (diversi per ogni patologia) con la speranza di vedere un miglioramento.

La visione umanistica ribalta questa concezione, mettendo in gioco il musicoterapeuta e la persona, ciascuno fonte di risorse per l’altro. E’ «l’esserci» fenomenologico.

Musicoterapeuta e bambino (o ragazzo, o persona adulta) condividono un percorso dove la musica è il mezzo per entrare in relazione e lasciarsi trasformare.

Attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte, (ma anche all’arpa, chitarra, percussioni…) torna o affiora il desiderio di ascoltare e il piacere di sentirsi ascoltati.

La pratica musicale creativa diventa dialogo che accoglie, sorregge, sollecita, consola, coccola, provoca: non c’è protocollo da seguire, ma buon senso, profonda empatia e buon umore.

Così l’ascolto diventa arte di ascoltare, e la musica gioia di vivere.

Bibliografia

  • Balestracci Beltrami Paola, Il mio primo libro di musica, Armando editore, 2009
  • Beltrami Paola, Mondonico Paola, Fusina Francesca, La musica come terapia per risvegliare ed attivare le potenzialità del bambino cerebroleso,in Cremaschi Trovesi G., Scardovelli M., Il suono della vita, Armando Editore, 2005
  • Beltrami Paola., Mondonico Paola, Suono, musica, emozioni all’origine della vita di relazione, del movimento, del linguaggio: esperienze in musicoterapia, in La medicina dei suoni, a cura di Perilli G. G. e Russo F., Borla1998
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Il corpo vibrante – Teoria, pratica ed esperienze di musicoterapia con bambini sordi, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 2001
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Il grembo materno – La prima orchestra, Armando Editore
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Leggere scrivere e far di conto, Armando editore, Roma 2007
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Verdina Mira,L’incanto della Parola, Edizioni La Meridiana, Bari – Edizioni Junior, Bergamo, 2000
  • Cremaschi Giulia, La partitura vivente– dialogare attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte, e-book 2014
  • Diffidenti Gloria, Il desiderio della parola – La natura fenomenologica del linguaggio, Armando editore, Roma 2010
  • Jaques-Dalcroze J., Il ritmo, la musica, l’educazione, EDT/Siem 2008
  • Marquier A., Usare il cervello del cuore, Ed. Amrita
  • Scardovelli Mauro,Il dialogo sonoro,Nuova Casa Editrice Cappelli, Bologna, 1992
  • Wigram Tony, Guida generale alla musicoterapia. Teoria, pratica, clinica, ricerca e formazione, Ismez Editore, Roma, 2003
  • Willems Edgard, L’orecchio musicale, vol. I e II, Zanibon 1985
  • http://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2018/05/07/news/la_musica_migliora_il_rapporto_genitori-figli-195769911/
  • musicoterapia.it

Il suono e la musica all’origine della relazione, del movimento e del linguaggio – Principi teorici e tecniche della musicoterapia umanistica – Parte Seconda

Paola Beltrami in Neuroscienze.net

Principi teorici e tecniche della musicoterapia umanistica

In questo secondo articolo sono illustrati i principi teorici della Musicoterapia Umanistica secondo il modello che la prof.ssa Giulia Cremaschi Trovesi ha elaborato nella sua lunga esperienza.

Essi possono riassumersi in tre concetti chiave: Corpo vibrante, Grembo Materno come “Prima Orchestra” e Partitura Vivente.

Sono poi descritte brevemente le tecniche usate in Musicoterapia Umanistica, tecniche che attingono pienamente nella musica intesa come linguaggio espressivo e comunicativo.

I principi teorici

La musicoterapia umanistica fonda i suoi principi teorici nella fisica acustica.

Lo studio del suono nella sua complessità di fondamentale e armonici e la risonanza alla base dell’ascolto hanno confermato in più di 40 anni di esperienze sul campo, che la persona, ogni persona è un Corpo vibrante, e che l’ascolto, alla base di ogni relazione, è un gesto intenzionale che implica tutto il coinvolgimento della persona stessa.

Il Corpo vibrante

Il suono è un fenomeno complesso. La consuetudine ci ha abituati a credere che si ascolti soltanto con le orecchieIl nostro corpo risuona nel ricevere e produrre onde sonore; è il protagonista dell’ascolto. La voce è corpo, aria inspirata ed espirata che preme verso l’esterno. La voce “danza” nelle diverse cavità del nostro corpo formando gli armonici.

Le emozioni sono in grado di modificare il respiro, pertanto la voce.
Per comprendere che cosa sia il suono, è opportuno metterlo a confronto con il suo contrario.

Il silenzio interrompe il suono. Il suono interrompe il silenzio.

L’alternarsi “silenzio – suono – silenzio” è ciò che chiamiamo ritmo. Se il suono non fosse interrotto

dal silenzio, non ci sarebbe l’attesa del suo ritorno. Sulla Terra non può esserci il silenzio assoluto.
Già nel 1700 la campanella sottovuoto di Hawksbee aveva dimostrato che la trasmissione delle onde sonore avviene in presenza dell’aria. Suono è onda vibratoria che si espande nell’aria coinvolgendo tutto quello che incontra, anche il corpo umano.

Le onde sonore avvolgono, coinvolgono, compenetrano tutto quello che incontrano, generando il fenomeno della risonanzaIl nostro corpo è “Corpo vibrante”,dall’inizio della vita, dal momento del concepimento. La ricezione delle onde sonore (percezione, ascolto) e la produzione (voce) dipendono dalla qualità della relazione che ciascuno di noi vive con il mondo esterno, con i propri simili, con sé stesso.

La “Prima Orchestra”

Il grembo materno, che non può concedere un attimo di silenzio, per tutti i mesi della gestazione, è la “Prima Orchestra”, il luogo dove la nuova vita sperimenta la regolarità ritmica del pulsare cardiaco della madre, l’alternarsi di timbri caratteristici che si formano all’interno del corpo, le melodie della voce materna. Il ritmo originario della “Prima Orchestra” è ciò che genera le prime memorie e la relazione primordiale. Ritmo, accenti, timbri sonori viscerali, voce materna, sono il terreno sul quale ogni essere umano svilupperà le esperienze future. Al momento della nascita ogni essere umano sperimenta l’aria, mette in moto la respirazione, fa sentire la sua voce.

Le forme musicali sono radicate sull’imitazione. Il linguaggio verbale dipende dalle capacità imitative, dalla memoria, dall’attenzione, dalla relazione originaria con la madre o con un sostituto materno significativo per il piccolo. Tutto ciò che è stato vissuto prima della nascita, è bagaglio emotivo, sensoriale, cognitivo e relazionale per costruire il dopo.

La partitura vivente

Ogni nostro movimento, gesto, produzione della voce, si realizza mentre il tempo passa. Tempo e Spazio non sono separabili. Ogni nostro movimento, gesto o suono della voce si svolge in un “prima e dopo”. Questo “prima e dopo” è ritmo. Ogni ritmo ha un ordine, chiamato tempo, e porta in sé una musica. La musicoterapeuta ha il compito di trovare questa musica.

Ogni persona è una partitura vivente.

La strada più diretta per rispecchiare, valorizzare un gesto, è il canto. La musicoterapeuta può anche scegliere fra gli “utensili” della musica per coinvolgere, generare gioia partecipativa. Gli strumenti musicali sono i manufatti utili in musicoterapia. E’ indispensabile saperli utilizzare con arte, tecnica, abilità, consapevolezza delle proprie conoscenze, competenzanell’osservare la risposta dell’altra persona per creare un dialogo non verbale da cui scaturirà il verbale (laddove possibile).

Le tecniche

Improvvisazione comunicativa al pianoforte

Gli strumenti acustici, nati come prolungamento del corpo umano, producono onde vibratorie attraverso l’amplificazione delle casse di risonanza (riproduzione del Corpo Vibrante).  Il pianoforte a coda presenta il vantaggio di una grande cassa di risonanza e una vasta gamma di frequenze (da Hz 27,50 per il tasto più grave, a Hz 4184 per quello più acuto). Per buona parte della seduta di musicoterapia, il bambino o ragazzo è seduto o sdraiato sul coperchio del pianoforte a coda, in modo da essere avvolto, immerso e cullato nelle onde sonore che lo raggiungono per risonanza.

La musicoterapeuta suona osservando ed osserva suonando, cosciente del ruolo comunicativo che realizza nel gioco creativo dei suoni.

Improvvisare è creare la musica per rispecchiare, favorire accompagnare una persona a non sentirsi sola, per andare verso processi naturali di cambiamento e trasformazione.

Sulla tastiera, in ogni momento, genera sonorità, ritmi, melodie, armonie con i quali “parla”, guida, asseconda, accompagna, approva, reagisce ecc. secondo ciò che caratterizza il “noi” del dialogo. L’empatia prende corpo, prende suono attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte.

Dialogo sonoro

Mediante l’improvvisazione al pianoforte la musicoterapeuta dà senso ad ogni gesto, movimento, modo di camminare, correre, vocalizzare. Ella risponde allo scuotimento di un sonaglio, di strumento idiofono, al volteggio di un nastro, perfino al silenzio, all’attesa di uno sguardo creando un dialogo espressivo che precede e va oltre la parola.

L’improvvisazione al pianoforte risponde anche alle melodie, alle sonorità di un’arpa, di uno strumento a corda (violino, viola, violoncello, contrabbasso), di strumenti a fiato (tromba, corno, flauto, clarinetto ecc.), di strumenti a percussione (membrane, strumenti etnici ecc.), di strumentini idiofoni creando composizioni musicali estemporanee ricche di fascino.

Progressivamente si scopre il piacere di suonare insieme ascoltando ed ascoltandosi.

Euritmia

Questo termine indica l’ordine fra suoni, ritmi e movimento. Ogni gesto che la persona compie con libertà e tenendo per esempio fra le mani materiali plastici (foulard, teli, veli, nastri o altro), viene valorizzato dall’improvvisazione comunicativa. Ciò che accade è l’essenza stessa dell’agire in musicoterapia. Nel momento in cui il professionista accompagna, segue il movimento della persona con la quale dialoga suonando, quest’ultima, sentendosi accolta, prosegue nei suoi movimenti ascoltando ciò che viene suonato.  E’ il muoversi in modo coordinato e armonico ascoltando ed ascoltandosi.

Rilassamento

Sperimentare e ritrovare il corpo vibrante stando stesi sopra il coperchio del pianoforte a coda è un punto di arrivo e non di partenza. L’ascolto nasce lentamente, dal progressivo lasciarsi andare e sperimentare la gioia dell’essere cullati, accarezzati, coccolati dalla musica che penetra e avvolge tutto il corpo. La presenza di una co-terapeuta (dove possibile) favorisce tramite l’abbraccio e il massaggio il lento rilassarsi. Le mani che toccano il bambino si muovono in modo coerente alla musica e contemporaneamente la musicoterapeuta improvvisa sonorità adatte al tocco. Si crea una relazione circolare in cui il bambino è la partitura vivente che dà spunto al gioco musicale e che si ritrova, perché si sente ascoltato, in quel gioco stesso.

Canto

La parola nasce dall’ascolto. La parola è prima di tutto canto. Il coinvolgimento nella risonanza corporea genera emozioni sfogate nella relazione con l’altro mediante il vocalizzo spontaneo.

Dare senso ad ogni suono vocale e condurlo all’espressione comunicativa è compito della musicoterapeuta la quale legge, nell’intonazione nel registro utilizzato, nell’ampiezza e nella durata il modo di porsi della persona.  Il gioco musicale crea il contesto opportuno per condividere esperienze che, nella ricchezza emotiva, facciano sorgere il desiderio del dialogo che si fa parola.

Il canto popolare infantile favorire la fluidità della parola, l’intonazione della voce, la consapevolezza, il controllo e l’ampiezza del respiro, oltre che stimolare la memoria acustica, l’articolazione del linguaggio, l’attenzione d’ascolto, l’aumento del vocabolario nella comprensione del testo. Cantare insieme mette buon umore, elemento indispensabile al fare terapia con i suoni e la musica.

Apprendimento della notazione musicale

Il percorso terapeutico evolve con naturalezza in quello educativo. La musica non è il fine, ma il mezzo attraverso il quale il bambino si sperimenta e si mette in gioco. I processi di astrazione, di conoscenza, di decodifica, si mettono in atto favoriti dal piacere di fare musica insieme. La lettura  musicale diviene un ‘esigenza per proseguire nel percorso di crescita.

Pratica strumentale

Il flauto dolce, la chitarra, il pianoforte, l’arpa sono alcuni tra gli strumenti proposti a bambini e ragazzi che seguono il percorso della musicoterapia. Talvolta l’approccio allo strumento rappresenta una grande sfida per i bambini, perché significa “mettere il dito nella piaga”, cioè affrontare i limiti che la patologia impone. Altre volte è una sfida perché i deficit attentivi, o la mancanza di coordinazione sembrerebbero impedire qualunque pratica strumentale.  Viceversa è emozionante accompagnare il bambino alla presa di coscienza non solo del limite, ma anche delle potenzialità che rischiano di rimanere nascoste, sempre sopraffatte da ciò che non va, da ciò che troppo spesso il bambino stesso dice di sé o si sente dire. Non è raro che un bambino con autismo, sordità, sindrome di Down, ecc.  raggiunga alti livelli di pratica strumentale.

Conclusioni

A partire dal suono che è relazione per definizione, si sviluppa l’inquadramento teorico della musicoterapia umanistica. La risonanza corporea è la modalità dell’ascolto non solo del feto, ma della persona per tutto l’arco della sua vita. Nella nostra società sempre più frenetica e visiva, spesso ci dimentichiamo cosa sia l’ascolto e quale atto di volontà comporti per essere definito tale.

Compito della musicoterapeuta è suscitare il desiderio di ascolto in chi lo ha perduto a causa di una patologia e/o di difficoltà relazionali e comunicative. La persona è una partitura vivente che la terapeuta legge e traduce in suoni e ritmi. Dal sentirsi così accolti e ascoltati si aprono nuovi canali di comunicazione, nasce l’interesse e la curiosità, si accoglie la novità.

Le tecniche della musicoterapia umanistica – improvvisazione comunicativa, dialogo sonoro, canto, euritmia, notazione- favoriscono il percorso di progressiva apertura della persona, la sollecitano alla messa in gioco, ne valorizzano le potenzialità, andando qualche volta anche oltre i limiti che la patologia imporrebbe, come ad esempio un sordo che canta e suona il pianoforte,  o il violoncello, un bimbo con sindrome di down che legge musica e suona il flauto, un ragazzo autistico che sviluppa capacità musicali tali da aiutarlo nella relazione con gli altri.

Bibliografia

  • Balestracci Beltrami Paola, Il mio primo libro di musica, Armando editore, 2009
  • Beltrami Paola, Mondonico Paola, Fusina Francesca, La musica come terapia per risvegliare ed attivare le potenzialità del bambino cerebroleso,in Cremaschi Trovesi G., Scardovelli M., Il suono della vita, Armando Editore, 2005
  • Beltrami Paola., Mondonico Paola, Suono, musica, emozioni all’origine della vita di relazione, del movimento, del linguaggio: esperienze in musicoterapia, in La medicina dei suoni, a cura di Perilli G. G. e Russo F., Borla1998
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Il corpo vibrante – Teoria, pratica ed esperienze di musicoterapia con bambini sordi, Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 2001
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Il grembo materno – La prima orchestra, Armando Editore
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Leggere scrivere e far di conto, Armando editore, Roma 2007
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Verdina Mira,L’incanto della Parola, Edizioni La Meridiana, Bari – Edizioni Junior, Bergamo, 2000
  • Cremaschi Giulia, La partitura vivente– dialogare attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte, e-book 2014
  • Diffidenti Gloria, Il desiderio della parola – La natura fenomenologica del linguaggio, Armando editore, Roma 2010
  • Jaques-Dalcroze J., Il ritmo, la musica, l’educazione, EDT/Siem 2008
  • Marquier A., Usare il cervello del cuore, Ed. Amrita
  • Scardovelli Mauro,Il dialogo sonoro,Nuova Casa Editrice Cappelli, Bologna, 1992
  • Wigram Tony, Guida generale alla musicoterapia. Teoria, pratica, clinica, ricerca e formazione, Ismez Editore, Roma, 2003
  • Willems Edgard, L’orecchio musicale, vol. I e II, Zanibon 1985
  • musicoterapia.it

Il suono e la musica all’origine della relazione, del movimento e del linguaggio – Definizione della musicoterapia umanistica e inquadramento legislativo della professione del musicoterapeuta – Parte Prima

Paola Beltrami in Neuroscienze.net

Parte prima: definizione della musicoterapia umanistica e inquadramento legislativo della professione del musicoterapeuta

Gli effetti curativi e benefici della musica si conoscono fin dall’antichità. La musicoterapia umanistica, nata quasi 50 anni fa, è definita arte della comunicazione. Dialogare con i suoni e la musica, improvvisando al pianoforte, è il modo in cui la musicoterapeuta si relazione con la persona che le è affidata. Scopo della terapia è suscitare il desiderio di comunicare e superare difficoltà e ostacoli alla crescita armoniosa della persona.

La legge 4/13 e la successiva norma tecnica danno attualmente un inquadramento ufficiale alla musicoterapia. I professionisti che operano all’interno della Federazione Italiana Musicoterapeuti (F.I.M.) sono certificati secondo la Norma tecnica UNI 11592.

Presentazione

L’arte di usare i suoni per curare ha radici lontane nel tempo. Ogni cultura ha elaborato sistemi di terapia musicale specifici. Da ognuno di essi si può trarre qualcosa di universalmente valido, anche ai nostri giorni. La molteplicità dei modelli tuttora utilizzati dipende dalla formazione del musicoterapeuta (musicista o non musicista) e dal pensiero filosofico e pedagogico che ispira il modo di operare con i suoni e la musica.

La musicoterapia Umanistica scaturita dall’esperienza sul campo e dagli studi di Giulia Cremaschi Trovesi non supera i 50 anni di età, ma è già diventata scuola e metodo. Nata sul campo nel lavoro con bambini e ragazzi audiolesi per lo più con turbe associate, la musicoterapia si è arricchita nel tempo con il contributo di tanti professionisti che hanno trovato nell’approccio musicale ed umanistico della Cremaschi, un modo efficace di valorizzare ogni persona per aiutarla a superare ostacoli, deficit, problematiche di varia natura.

Ho suddiviso il mio lavoro in tre parti al fine di cercare di presentare la musicoterapia umanistica almeno nei suoi tratti essenziali, consapevole che, la sua natura interdisciplinare e la complessità dell’argomento, meriterebbe spazi più ampi e ben altri approfondimenti per essere esaustiva.

Quale musicoterapia?

“Ogni nostro gesto, movimento, azione, intonazione della voce scaturisce da quello che bolle dentro di noi, dalle nostre emozioni, belle o brutte che siano non ha importanza. In ogni nostro gesto, movimento, azione, intonazione della voce, c’è un ritmo, un tempo, una musica.
Musicoterapia, arte della comunicazione, consiste nel dare voce, trasformare in melodia, canto, armonia, il ritmo insito in un gesto, movimento, azione.

Le capacità musicali sono in ciascuno di noi perché la nostra storia è intessuta di ritmi, suoni, versi, rumori, a partire dal momento del concepimento. Il silenzio è il grande assente nella vita dell’uomo sulla terra. Voci, suoni, rumori, versi del mondo sono il silenzio della natura.
Per comprendere il valore dell’umanesimo dobbiamo conoscere la nostra storia, le nostre origini.

Conoscere l’uomo, entrare in contatto con persone che soffrono (disabili in senso lato), creando un dialogo mediante il fare musica è ciò che accade in musicoterapia umanistica.
Occorre essere critici sulla scelta teorica, sul pensiero che sorregge i principi teorici. La musica fa bene all’uomo, all’umanità, da sempre, da molto, molto prima che gli stessi uomini incominciassero a parlare di scienza.

Su queste basi è indispensabile non solo conoscere ciò di cui è fatta la musica (ritmo, melodia, armonia) ma entrare nella complessità del suono (fisica acustica) per trovarsi fra le mani, in modo creativo, gli strumenti di lavoro (suonare, improvvisare, creare situazioni coinvolgenti, condurre verso processi di trasformazione interiore) che la musica offre”(dal sito www.musicoterapia.it).

In quest’ottica è possibile comprendere che gli obiettivi della musicoterapia umanistica non si limitano al benessere della persona. E’ noto che l’ascolto della musica regola il ritmo cardiaco, migliora la respirazione, favorisce il rilassamento, modifica l’umore, ecc. Ma questo non basta. Quando un bambino (ma anche un ragazzo) è seduto o sdraiato sul coperchio del pianoforte a coda e la musicoterapeuta improvvisa per lui e con lui, quello che è messo in gioco è molto di più.

Il dialogo sonoro che scaturisce dal gioco musicale e la risonanza corporea provocata dalle onde sonore, smuove la persona fisicamente ed emotivamente. Ecco allora che ciò che accade è imprevedibile. Le emozioni in gioco sono profonde. La persona si sente ascoltata, accolta, cullata dalla musica, e forse, comincia ad aprirsi. La maestria della musicoterapeuta consiste proprio nel suscitare nella persona il desiderio di porsi in relazione e comunicare. L’imprevedibile gioco delle onde sonoro che si intrecciano in dialoghi musicali, ritmi, movimento, favoriscono il generarsi spontaneo della voce. Il canto popolare infantile stimola l’articolazione della parola in un clima festoso e giocoso. Anche l’ordine del movimento e delle coordinazioni migliora, come pure l’organizzazione spazio-temporale, perché la musica è tempo che si diffonde nello spazio.

Questo, in sintesi, è la musicoterapia umanistica.

Come e dove si colloca la musicoterapia?

Con l’approvazione della legge 4/13 si è molto parlato delle nuove professioni e di come queste si stanno organizzando nel loro percorso di riconoscimento. La musicoterapia umanistica è una di queste.

La legge dice con chiarezza che ogni nuova professione non può ricalcare in alcun modo professioni già esistenti. In questo modo si è definitivamente chiarito che la musicoterapia (almeno quella umanistica che fa capo a Giulia Cremaschi Trovesi) non è una disciplina paramedica e non ha a che fare nemmeno con il mondo della psicologia. La tradizionale suddivisione di musicoterapia in prevenzione, riabilitazione e terapia è decaduta.

La musicoterapia è entrata a far parte delle Arti terapie – danza, teatro, dramma, arti plastiche e figurative, musica – e accompagna la persona in ogni fase della vita (pre – peri- post natale, età evolutiva, adolescenza, età adulta e terza età) avendo come obiettivo principale il benessere dell’utente, il suo percorso educativo in senso lato, la sua realizzazione, il suo mantenimento psico/fisico.

Ma, anche se sembra incedibile, la legge e la norma tecnica UNI 11592 sono solo indicative. Sta al professionista, alla singola associazione accoglierle o ignorarle.

Noi professionisti della F.I.M. abbiamo deciso di rispettare la legge 4/2013 e la Norma UNI 11592. La F.I.M. ha fatto parte del Tavolo di lavoro UNI GL11. L’applicazione della legge e della norma prevede le certificazioni per i professionisti e la qualificazione di primo e secondo livello, per i corsi di musicoterapia.

La scelta è a carico del professionista. La presenza di varie associazioni che hanno criteri diversi crea una concorrenza artistico-culturale-professionale, peraltro prevista dalla legge 4/2013.

Il futuro della musicoterapia è nelle mani di persone che sanno suonare in modo adeguato per creare un contesto comunicativo efficace e condurre la persona, verso il superamento di ostacoli.

Conclusioni

Quando si parla di musicoterapia si fa riferimento ad una disciplina antica, tutt’ora utilizzata in svariati modi per suscitare benessere e migliorare la qualità di vita. In particolare la Musicoterapia Umanistica, supporta in modo armonioso la crescita della persona, favorendo lo sviluppo psicomotorio e del linguaggio verbale. Dal punto di vista dell’inquadramento professionale, la F.I.M. ha scelto di aderire alle disposizioni della legge 4/13 sulle nuove professioni e di rientrare nelle Arti terapie. La certificazione UNI 11592 è attualmente elemento distintivo dei musicoterapeuti che hanno scelto di dare una svolta di qualità alla propria professionalità.

Bibliografia

  • Beltrami P. e Mondonico P., Suono, musica, emozioni all’origine della vita di relazione, del movimento, del linguaggio: esperienze in musicoterapia, in La medicina dei suoni, a cura di Perilli G. G. e Russo F., Borla1998
  • Bruscia Kenneth E., Definire la Musicoterapia – Percorso epistemologico di una disciplina e di una professione, Gli archetti, Ismez, Roma, 1993
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Musicoterapia arte della comunicazione,Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 1996
  • Cremaschi Trovesi Giulia, Il grembo materno – La prima orchestra, Armando Editore
  • Cremaschi Trovesi G., La partitura vivente, dialogare attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte, e-book 2014
  • Scardovelli Mauro,Musica e trasformazione,Edizioni Borla, Roma, 1999
  • Stein Edith, Il problema dell’empatia,Edizioni Studium, Roma, 1998
  • musicoterapia.it

Paola Beltrami: L’Arpa terapia e la Musicoterapia Umanistica

Musica e Mente: il magazine italiano di Musicoterapia

Intervista a Paola Beltrami in occasione dell’uscita del suo libro ARPA TERAPIA-Suoni che curano l’anima

Paola Beltrami è un’arpista e musicoterapeuta, è socio fondatore della F.I.M la Federazione Italiana Musicoterapeuti e formatore in Musicoterapia Umanistica.

Ha all’attivo diverse pubblicazioni e ha presentato la sua esperienza in musicoterapia a convegni e congressi nazionali e internazionali. Svolge tutt’ora un’assidua attività come educatore musicale negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia e conduce corsi di formazione per genitori e insegnanti. Ha pubblicato recentemente “Arpa terapia. Suoni che curano l’anima” casa editrice You can print, l’abbiamo invitata per parlarci di questa sua ultima opera.

Dott.ssa benvenuta fra le pagine di Musica e Mente, iniziamo con la prima domanda:

Che differenza c’è tra la musicoterapia e l’arpa terapia?

L’arpa terapia nasce dalla musicoterapia, ma ha assunto una propria fisionomia sia per le caratteristiche fisico-acustiche del suono dell’arpa, sia per i tempi e i modi di applicazione in ambito terapeutico.

In particolare la musicoterapia utilizza un’ampia varietà di strumenti musicali ed è finalizzata al cambiamento del comportamento della persona, l’arpa terapia porta suoni lenitivi, confortanti, al capezzale della persona malata. È un “qui ed ora” in cui si crea una “Culla del suono” che agisce sul respiro, sul dolore, sul malessere dell’individuo e li trasforma. L’obiettivo principale riguarda prevalentemente la sfera emotiva che si manifesta nella fisiologia della persona. L’intervento non è continuativo come quello della musicoterapia e il beneficio che si ottiene dipende dalla qualità particolare del timbro del suono.

Un’altra differenza consiste nel fatto che la musicoterapia prevede quasi sempre un coinvolgimento attivo della persona, mentre l’arpa terapia è per lo più recettiva. La musica improvvisata al momento o presa da repertori ad hoc, è suonata in modo da creare un clima di ascolto e raccoglimento in cui la persona si sente accolta e  lascia andare le sue tensioni, il suo dolore.

Che cos’è la Musicoterapia Umanistica?

La Musicoterapia Umanistica è “Arte della comunicazione”. Con la legge 4/13 sulle nuove professioni è entrata a far parte delle Arti Terapie (musicoterapia, danza-movimento terapia, arte terapia, dramma terapia e teatro terapia). La Norma UNI 11592 stabilisce i requisiti di abilità, conoscenza e competenza per ottenere la Certificazione, fiore all’occhiello del professionista.

La Musicoterapia Umanistica è nata più di 40 anni fa dalle intuizioni e dalle esperienze della prof.ssa Giulia Cremaschi Trovesi che nel tempo ha fatto conoscere i risultati che otteneva con bambini con gravi disabilità (sordità, autismo, cecità, prematurità, paralisi cerebrali infantili, sindromi genetiche) e ha creato la Federazione Italiana Musicoterapeuti (FIM) – di cui anch’io sono socio fondatore – i cui scopi sono la valorizzazione e la divulgazione del modello teorico della Musicoterapia Umanistica da lei elaborato, la formazione e l’aggiornamento del musicoterapeuta; l’individuazione e lo studio degli aspetti culturali, artistici, pedagogici e scientifici che concorrono alla formazione personale e professionale del musicoterapeuta.

Obiettivi della Musicoterapia Umanistica sono migliorare la vita di relazione, favorire la comunicazione verbale e non verbale, suscitare il desiderio di muoversi e di farlo in modo ordinato, sollecitare la socialità, l’espressione delle proprie emozioni, il potenziamento delle capacità cognitive, e non da ultimo sostenere l’autostima del bambino o ragazzo perché attivi in sé stesso gli strumenti necessari al superamento delle difficoltà di apprendimento.

Il nostro lavoro si fonda essenzialmente sull’improvvisazione comunicativa al pianoforte a coda, ma non tutte le musicoterapie operano in questo modo. Anzi. Vi sono quelle basate sull’ascolto di brani musicali, o quelle che prediligono strumenti a percussione. Molto dipende dalla formazione musicale del terapista.

Nel suo lavoro come concepisce il concetto di cura e di prendersi cura?

Bella domanda, per niente banale, dal momento che musicoterapia e arpa terapia sono discipline artistiche e non mediche. Andiamo alla radice della parola e del concetto che in essa è racchiusa. Cura deriva dalla radice latina ku-/kav- che significa osservare. In sanscrito kavi vuol dire saggio. Una prima interpretazione etimologica faceva derivare curare da cor urat, cioè “scalda il cuore”.

Comunque la interpretiamo, il termine curare racchiude in sé la saggezza di chi osserva ed ha a cuore l’altro. Come avviene questo con la musicoterapia? O l’arpa terapia?

Pensiamo alla musica in un duplice modo: come onde sonore e come prodotto artistico finito. Seduto sopra il coperchio del pianoforte a coda o ai piedi dell’arpa, in contatto con la sua cassa di risonanza, il bambino, il ragazzo, l’adulto o l’anziano (a seconda dei casi) è immerso in una molteplicità di onde sonore che avvolgono, accarezzano, cullano la persona raggiungendo il suo corpo e facendolo convibrare. Non è una musica registrata o casuale. Sono suoni ritmi, melodie, armonie create di momento in momento leggendo la postura, il tono corporeo, il ritmo respiratorio, la mimica, la gestualità. La persona è come una partitura vivente che il musicoterapeuta o arpa terapista interpreta musicalmente. Questo genera nel paziente un riconoscimento di sé quasi immediato, si sente ascoltato, accolto, valorizzato. Le emozioni che nascono dal gioco musicale sono spesso emozioni positive di gioia, ma anche quando emerge rabbia, frustrazione, dolore, paura, l’improvvisazione musicale ad hoc le trasforma aiutando la persona a rielaborare i momenti negativi e a trasformarli in nuove esperienze di vita.

L’arte dei suoni, o meglio l’arte di creare suoni e musica e donarli all’altro in un dialogo che si rinnova continuamente, sono una cura molto efficace. Non si tratta semplicemente di imitare la persona come nel gioco dello specchio, ma di ridare in un altro modo alla persona ciò che essa sente per farla sentire compresa, accolta e direi anche amata. E la musica deve essere bella, perché, non dimentichiamolo, tutti siamo amanti del bello inteso come valore, come armonia, come equilibrio. Per questo è importante saper suonare e improvvisare molto bene e sapersi destreggiare con più strumenti musicali.

Spesso il percorso di musicoterapia dura anni. È un dono grande accompagnare le famiglie nel percorso di crescita dei loro figli. Avere cura significa saper affiancare nel bisogno, esserci nei momenti critici senza mai sostituirsi, ma anche senza lasciare le persone da sole nel loro dolore o nelle loro crisi. È dar voce ai più deboli quando il dolore di una diagnosi toglie le energie per rivendicare anche solo i propri diritti. Talvolta prendersi cura è anche solo semplicemente sedersi allo strumento e suonare e lasciar “parlare” la musica, perché certe cose, certe emozioni non si possono condividere a parole, ma si possono portare insieme aggrappati alla bellezza e alla forza della musica.

Nel suo libro parla di come non sia importante quanto si suoni o cosa, bensì ha molta più rilevanza come si suona, vorrei chiederle allora quanto è importante l’aspetto empatico e fin dove ci si “deve” o ci si può spingere con la risonanza emotiva.

Risonanza è un termine musicale, preso in prestito dalla psicologia per spiegare quella particolare capacità del terapeuta di entrare in relazione con il proprio paziente.

Non c’è musica senza risonanza, non c’è ascolto senza risonanza, e oserei dire, non c’è vita senza risonanza. Vediamo perché. La risonanza è la partecipazione, da parte di un sistema atto a vibrare, al moto vibratorio di un altro sistema. Una corda tesa tra due chiodi piantati su un muro o su una semplice tavoletta di legno, vibra, ma non quella vibrazione non è quasi udibile. Se la stessa corda è tesa su una cassa armonica di un’arpa, un pianoforte, una chitarra, un violoncello …. l ’effetto sonoro che si ottiene è decisamente migliore in qualità e maggiore in intensità. Questo avviene perché la cassa armonica dello strumento viene fatta oscillare dalla vibrazione della corda amplificandone il suono. Ecco spiegata la risonanza. Ma non è tutto. I suoni gravi producono onde sonore più lunghe di quelli acuti. Per questo risuonano in corpi elastici di volume grande, mentre i suoni acuti risuonano in corpi elastici più piccoli. Ecco allora che capiamo perché la mucca produce un muggito grave e gli uccellini cinguettano con trilli acuti. Pensiamo agli strumenti musicali. Il violino produce suoni più acuti di un contrabbasso, il quale per il volume della sua cassa di risonanza, emette suoni gravi e profondi che fanno tremare il pavimento. Anche la forma della cassa di risonanza dell’arpa rispetta il principio fisico della risonanza: è ampia e larga in basso dove sono agganciate le corde lunghe e spesse che producono suoni gravi, e si assottiglia e restringe verso l’alto, dove le corde sono più sottili e corte e il suono è acuto.

Il corpo umano è un grande risonatore, o meglio è una sovrapposizione di risonatori. Tutto il corpo è coinvolto nell’ascolto e nella produzione dei suoni con la voce. Il timpano dell’orecchio percepisce le frequenze acute e gli armonici dei suoni più gravi che passano sempre e comunque attraverso il corpo, anche quando non ce ne accorgiamo.

Stando seduti o sdraiati sulla tavola armonica del pianoforte o presso quella di un’arpa, si ritorna a percepire consapevolmente con tutto il corpo. Quella che noi chiamiamo “Risonanza corporea” è il convibrare del corpo con la musica improvvisata allo strumento. È qui che entra in gioco la risonanza emotiva del terapeuta. Con quale atteggiamento mi avvicino alla persona e suono con lei, per lei?

Posso avere una condotta di tipo medico, del tipo “so io quello di cui tu hai bisogno”, oppure “questa è la cura, la musica che ti fa bene” e in questo modo calarmi dall’alto sapendo già cosa fare e come farlo. Posso avere un atteggiamento preoccupato per il mio paziente, per cui mi butto a capofitto nel suo dolore, nei suoi problemi e mi ci identifico al punto da farli miei, al punto che mi sento sopraffatto.

Posso entrare in risonanza con la persona mettendo in atto l’attenzione inclusiva che è l’arte di essere attenti al paziente e di modificare la musica per adattarsi alle sue condizioni mentali, emotivo, fisico e/o spirituali. È uno stato meditativo in cui siamo consapevoli della nostra esperienza somatica, emotiva e cognitiva ed espandiamo questa consapevolezza per includere un’altra persona. In sintesi è l’arte di essere attenti al paziente e chiedere: “Cosa sto incontrando qui? Cosa sto osservando? Come devo rispondere?”. Molti massaggiatori e guaritori usano questo principio. I tre gradini di attenzione inclusiva sono: la consapevolezza, l’intuizione e la risposta musicale. L’attenzione inclusiva si sviluppa nel tempo e richiede prontezza di riflessi e una grande capacità intuitiva. Non si tratta solo, a mio avviso, nel sapere cogliere quale cambiamento di tempo, di ritmo, di armonia, di tonalità o di andamento è necessario per mantenersi in ascolto del paziente. A volte mi capita di presagire o di captare intenzioni e bisogni quasi inespressi che lasciano a bocca aperta sia i genitori che i bambini stessi. E, devo dire, che molto raramente mi sbaglio. Così ho imparato ad affinare questa attenzione e il mio intuito, fidandomi di ciò che sento ed esprimendolo a costo di andare contro corrente.

Quanto è importante il silenzio in musicoterapia?

In natura non esiste il silenzio assoluto. Il nostro corpo non conosce il silenzio, perché il battito cardiaco, il flusso del sangue, il respiro, i visceri sono continuamente in movimento. Quello che chiamiamo silenzio è assenza relativa di suono, è quiete.  ll nostro corpo conosce il silenzio solo con la morte. Prima, dal concepimento in poi, è sempre in movimento, anche quando riposa, e dove c’è movimento c’è suono, perché il suono è la relazione tra un corpo che produce vibrazioni (movimento di onde sonore) e uno capace di riceverli come sensazione uditiva.

L’embrione prima e il feto poi cresce nel grembo materno, prima orchestra, e attraverso le onde di pressione del liquido amniotico, è cullato, dondolato, coccolato dalla voce materna e da tutti i rumori interni del suo corpo. Tutte le culture addormano e calmano i neonati con le ninne nanne il cui ritmo mette insieme l’andamento binario dei passi materni con quello ternario del battito cardiaco. Con la nascita il bambino farà esperienza della forza di gravità, sconosciuta nella pancia della mamma, e del silenzio, perché verrà meno quel continuo sottofondo musicale che lo ha accompagnato nei nove mesi precedenti.

Oggi viviamo in una società rumorosa. Ci siamo riempiti di rumori/suoni di fondo che ci fanno compagnia mentre facciamo la spesa, mentre studiamo, mentre giochiamo, mentre mangiamo….

Molti bambini ritardano l’apprendimento del linguaggio a causa della mancanza di pulizia sonora ambientale. Una televisione o una radio sempre accesa non permettono al piccolo di discriminare con chiarezza il suono delle parole collegandole ai movimenti della bocca della mamma e del papà.

Spesso ci riempiamo di musica per non stare in ascolto di noi stessi. Arriviamo così alla musicoterapia. Il silenzio è fondamentale in musicoterapia. Fin dal primo approccio la musicoterapeuta suona osservando il bambino e lo osserva suonando. Non è un gioco di parole. Ogni reazione, anche minuscola, è di vitale importanza. Per questo alterna l’improvvisazione musicale e il dialogo sonoro a momenti di silenzio. Cosa accade?

Il bambino continua a suonare i suoi legnetti (o maracas, campanelli, ecc.), imperterrito. Non sta ascoltando.

Il bambino continua a suonare, ma lo fa più forte e più veloce, come per dire “dai ricominciamo, non smettere di suonare che mi piace”.

Il bambino continua a suonare, ma muove un sopracciglio, oppure gira appena lo sguardo, sospira, sorride. Reazioni minime, che solo un occhio ben allenato riesce a cogliere…. Ecco il bambino sta ascoltando, ma non lo fa vedere.

Il bambino si ferma, sorpreso, e lascia cadere gli strumenti che ha in mano, o li restituisce. È il bambino abituato a fare prestazioni. Finita la musica, pensa di aver finito il compito.

E poi c’è il bimbo che si ferma, trattiene quasi il respiro, ti guarda e aspetta la ripresa del suono, o è lui stesso a riprendere a suonare. È il bambino che sa ascoltare, che ha imparato ad ascoltare, intendendo l’ascolto come l’atteggiamento consapevole di chi si pone in relazione con l’altro, accogliendolo.

Con il silenzio la musicoterapeuta “verifica” a che punto è il bambino e lo dosa per allungare i suoi di attenzione, per destare curiosità, sorpresa, interesse, per rinnovare il dialogo sonoro.

C’è poi un silenzio che è attesa della risposta del bambino. È il mettersi in ascolto e saper aspettare un cenno da parte sua. Ci vuole molta forza interiore per non sostituirsi, per non avere fretta di reazioni, di proposte. Saper attendere che il bambino elabori la sua risposta o la sua proposta, porga uno sguardo per dire “ancora”, emetta un suono con la voce, in poche parole, smetta di essere oggetto di cure e cominci ad essere soggetto attivo, partecipe e consapevole.

Data la sua lunga esperienza e autorevolezza, come si spiega il fatto che la musica raggiunge anche i pazienti con le più gravi disabilità, quando “ragionevolmente” si è portati a pensare che alcuni soggetti, per la loro condizione, sembrano avulsi dalla realtà?

In parte ho già risposto. La musica è per tutti perché la musica è dentro l’uomo. Nel grembo materno tutti abbiamo sperimentato quella prima orchestra che ci ha plasmato. Dopo la nascita il percorso di conoscenza si snoda innanzitutto come un riconoscere quanto già sperimentato prima della nascita. Ogni essere umano è unico e irripetibile e compie per la prima volta il cammino della sua crescita. Si nasce con una patologia, la disabilità è la conseguenza derivante dalla patologia con tutte le limitazioni che questa comporta, mentre per handicap si intende la condizione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o ad una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce la socializzazione.

La Musicoterapia Umanistica opera con il linguaggio dell’arte musicale per risvegliare e valorizzare il bambino laddove la diagnosi e la riabilitazione tradizionale vedono  una persona “da aggiustare”.

Non abbiamo protocolli da seguire perché ogni persona è unica, ma abbiamo tra le mani i suoni e attraverso la loro combinazione sapiente unita alla risonanza corporea facciamo emergere il desiderio di mettersi in gioco, di lasciarsi avvicinare, di farsi coinvolgere, di aprirsi al nuovo.

I più affamati di suoni e di musica sono i bambini audiolesi che riescono a raggiungere risultati incredibili quando cominciano ad ascoltare sfruttando così in pieno il potenziale delle protesi acustiche. Sono bambini che cantano con voce intonata, suonano il flauto dolce, il pianoforte, parlano con voce bella, sonora, con le inflessioni dialettali.

I piccoli con autismo si lasciano lentamente andare perché il suono li raggiunge attraverso la risonanza corporea, li emoziona, li seduce, direi, e pian piano scoprono che possono aprirsi, lasciarsi andare. Spesso hanno un talento musicale raro, che rischia di rimanere sepolto se non sono valorizzati nel modo adeguato.

I bambini con paralisi cerebrale regolano il tono muscolare grazie al massaggio sonoro che li penetra ed avvolge. Così riescono a rilassarsi profondamente o ad attivarsi conquistando le varie posture fino alla deambulazione (laddove è possibile), o alla manipolazione fine mettendo in atto la coordinazione occhio-mano.

I piccoli con sindromi genetiche trovano un ambiente ricco di stimoli per attivarsi, allungare i tempi di attenzione, sviluppare la memoria, favorire il proprio sviluppo psicomotorio.

Ai bambini prematuri la musicoterapia umanistica dona serenità e capacità di superare i traumi legati alla lunga ospedalizzazione e separazione della mamma. I suoni cullano, accarezzano e ricreano la sicurezza sperimentata prima della nascita. Non si tratta di regressione, ma di un vero trampolino in cui poter trovare forza ed energia per far affrontare con serenità la vita per come ora si presenta loro.

Per tutti poi la musicoterapia umanistica offre un’importante sollecitazione allo sviluppo del linguaggio verbale, perché la parola è suono.

Non c’è parola senza ascolto, senza relazione. E la musica è relazione. Purtroppo non è questa la sede per approfondire questo tema che richiede uno spazio più ampio.

Di cosa parla il suo libro?

Rispondo a pelle, con il cuore. Il libro parla di musica e di guarigione, la mia guarigione e quella di tanti bambini e ragazzi che ho incontrati in trent’anni di musicoterapia prime e arpa terapia poi.

È un libro scritto in quindici giorni. Volevo preparare il testo per un video sull’arpa terapia. Ho cominciato a scrivere e non ho più smesso. Presto mi sono resa conto di aver messo nero su bianco uno dei primi libri sull’arpa terapia in lingua italiana. Così ho pensato di pubblicarlo.

È un testo scorrevole, comprensibile da tutti, anche dai non musicisti. È un libro ricco di vita vissuta, di aneddoti, di racconti delle mie esperienze in musicoterapia e arpa terapia. Ma è anche una sorta di diario segreto a cui ho regalato le mie emozioni e i miei vissuti più dolorosi rispetto al rapporto conflittuale con la mia arpa. Il mio percorso di studi fu infatti interrotto da gravi problemi di salute dovuti ad una impostazione non corretta allo strumento. Ho sofferto e pianto tanto di rabbia e di dolore, ma l’amore per la musica e la forza di volontà (oltre che la vicinanza della mia famiglia), mi hanno permesso di risorgere. In questo senso sono molte le persone che possono in qualche modo identificarsi nel mio vissuto e trarne spunto per reagire.

Il libro poi descrive cos’è l’arpa terapia, quali sono i suoi principi teorici e gli ambiti di applicazione.

Gli amanti delle terapie naturali troveranno pane per i loro denti, i musicisti vi leggeranno nozioni fisica acustica pratica (sempre in linguaggio accessibile a tutti), i medici o i terapisti scopriranno nuove forme di benessere e di guarigione legate al potere del suono, gli educatori scorgeranno tra le righe molti spunti per il loro lavoro.

Un’ultima nota, se mi è possibile. Il libro è dedicato a mio marito Davide che ha creduto in me e nella mia musica dandomi la forza e la gioia di ricominciare a suonare la mia arpa e senza del quale non sarei quella che sono.

Per maggiori info:

https://www.facebook.com/Musicoterapia&Arpaterapia

MUSICOTERAPIA UMANISTICA su Stateofmind di Paola Beltrami

Il 25 ottobre scorso, la rivista online State of Mind ha pubblicato un interessante articolo di Paola Balestracci Beltrami dal titolo Musicoterapia Umanistica.

A partire dalla propria esperienza personale, l’autrice descrive in modo chiaro e accessibile a tutti cosa sia la Musicoterapia Umanistica, quali siano le sue finalità e in quale modo operi la musicoterapeuta per trasformare, con la sua musica improvvisata e creata in base alla situazione, occasioni di cambiamento. Viene poi fatto  cenno sia alla legge 4/13 sulle nuove professioni, alla norma tecnica UNI 11592 sulle arti terapie e alla successiva certificazione, sia alla Scuola quadriennale di Musicoterapia Umanistica “Giulia Cremaschi Trovesi” che inizierà il suo secondo corso nel 2020, offrendo a chi è interessato, una formazione completa per intraprendere questa nuova professione.

Musicoterapia Umanistica

MUSICOTERAPIA A CADEO, ARTICOLO SUL LAVORO DI MANUELA BRICCONI

La musicoterapia umanistica risulta efficace per i bambini e ragazzi autistici: aiutati nel linguaggio e avviati allo studio della musica e del pianoforte, si esibiscono sul palco traendone soddisfazione e autostima. Un’ulteriore conferma del valore della musica e dell’approccio umanistico.

Ecco, il racconto delle mamme di bambini autistici che hanno seguito il percorso della musicoterapeuta Manuela Bricconi.

scarica qui il pdf            articolo libertà 4 gen 2019

RELAZIONE CONVEGNO 30 marzo 2019 “Le emozioni e gli apprendimenti”

30 marzo 2019: una data storica per la Musicoterapia Umanistica.
Il convegno organizzato a Bergamo dalla Federazione Italiana Musicoterapeuti (F.I.M.), per la prima volta in Italia, ha cercato “consonanze” con gli ambienti accademici tradizionali: Neuropsichiatria infantile, Scuola, Conservatorio.
Principi educativi, riabilitativi, artistico/creativi possono dialogare insieme? L’eventuale dialogo è una speculazione teorica o la base sicura sulla quale costruire percorsi di apprendimento efficaci?

“Emozioni e apprendimenti – Risvegliare la dinamicità dei bambini” è stato il titolo della giornata di studio che ha raccolto attorno ad un tavolo il dott. Andrea Pioselli, Dirigente degli Istituti comprensivi “A. Mazzi” e “De Amicis” di Bergamo, la dott.ssa Patrizia Maria Carla Stoppa, Direttore UOC NPIA ASST “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo, la prof.ssa Giulia Cremaschi Trovesi, Presidente F.I.M., la dott.ssa Simona Colpani, pedagogista e psicomotricista F.I.M., la Dott.ssa Angela Cremaschi, counselor Aleph PNL umanistica, professionista F.I.M.
Una mattinata piacevole, densa di contenuti, che si rincorrevano tra un relatore e l’altro, senza un minuto di sosta, volata in un baleno tra lo scorrere di slide, riflessioni, commenti.

Ogni relatore ha portato se stesso, la propria esperienza pluridecennale. Ognuno in ascolto degli altri, pronto a cogliere i collegamenti e a lavorare per costruire insieme un mondo migliore, perché è dal confronto che si parte. Lo si fa per i bambini, per quelli di oggi, sempre più disorientati e in difficoltà, e quelli di una volta, oggi cresciuti, che sono venuti a portare la loro testimonianza. Ma andiamo con ordine.

Il dirigente dott. Andrea Pioselli ha esposto un’analisi precisa della scuola di oggi: da punto di partenza degli apprendimenti è diventata oggi punto di transito, nodo di una rete, come l’ha definita lui.
Per essere ancora credibile e porsi come riferimento educativo deve rinunciare alla sua unicità e integrarsi con gli altri nodi della rete. Oggi i bambini vivono in contesti iper educativi. Ogni ambiente ha la pretesa di essere educativo (sport, musica,…). Gli individui sono sottoposti a processi che tendono a educarli, ma evidentemente qualcosa sfugge….
La scuola è un’istituzione e come tale fatica molto a fare rete perché questo significa perdere la sua sovranità sull’apprendimento.
Tre sono le complessità che oggi costituiscono una grande sfida da cogliere: i linguaggi non verbali, interculturalità e la tecnologia.
Musica, corpo, immagine sono linguaggi non verbali che non possono più essere relegati in second’ordine. Siamo immersi in questi linguaggi grazie anche alla multimedialità ormai entrata in pieno nelle nostre vite. La scuola deve educare alla conoscenza critica di questi linguaggi.
Siamo immersi in un ambiente interculturale non solo perché oggi nelle scuole confluiscono bambini di tante etnie diverse, ma soprattutto perché è difficile reperire valori di riferimento universali. Essi sono diventati fatti soggettivi. Da quali principi sono guidate le persone? In questo senso educare diventa molto difficile.
Infine è importante tornare a riscoprire la sensorialità, perché fare scuola è un’arte, cioè è la capacità di mobilitare diverse tecniche per uno scopo. La scuola oggi ha bisogno di insegnanti che abbiano una loro personalità che sappia mediare le diverse tecniche. Non servono ricette, serve mettersi in gioco.

La dott.ssa Patrizia Maria Carla Stoppa ha esordito dicendo che il fare e il sentire sono azioni indispensabili per imparare.
Non solo. Il bambino impara se ciò che viene fatto è vissuto in una relazione positiva, dove il piacere non è solo riservato al bambino, ma viene vissuto e condiviso anche dall’insegnante.
Ha poi esposto in sintesi il pensiero di Piaget e di Bion fino ad arrivare alle scoperte delle neuroscienze a sostegno dell’importanza delle emozioni negli apprendimenti.
Le parole chiave dell’intervento sono state: il cervello è modificabile e continua a farlo, l’esperienza è anche relazione e in un certo senso condivisione, il bambino è un sistema integrato di componenti neurobiologiche (potenzialità da sviluppare) e ambientali (stimolazione, esperienze) strettamente interconnessi, la storia naturale della malattia può essere modificata dall’esperienza della vita.

È a partire da questa osservazione che è iniziata la ricerca della prof.ssa Giulia Cremaschi Trovesi più di 40 anni fa.
Nel suo intervento – Emozioni e apprendimenti in armonia tra Arti, Musica e Linguaggi – ha fatto sintesi del suo pensiero e della sua esperienza sul campo, nell’ambito della scuola, dell’educazione e della (ri-)abilitazione.
Arti e linguaggi sono nati dall’abilità dell’uomo di rappresentare il mondo che abita.
Filogenesi e ontogenesi si richiamano continuamente.
I canali visivo, acustico-uditivo, cinestesico e propriocettivo sono il mezzo per sperimentare, percepire, vivere emozioni.
Come avviene il processo di apprendimento? La sensorialità (che diventa il fare) mette in atto l’attenzione, l’imitazione, la memoria. Conoscere è riconoscere perché tutto il bagaglio sonoro/ritmico/motorio della vita intrauterina viene ritrovato dal bambino dopo la nascita. Tutto questo non può avvenire senza emozioni.
Apprendere è prendere attraverso di me.
Se il bambino è in relazione con il mondo, con gli altri, con sé stesso mette in atto spontaneamente la comunicazione che si sviluppa nel tempo attraverso la gestualità, la voce, l’onomatopea, la parola, il segno scritto (da traccia a grafia).
Ed è proprio qui che oggi la scuola incontra difficoltà.
Cos’è il suono? Cosa sono vocali e consonanti? Come è nata la scrittura?
La storia ci aiuta a trovare risposta ai problemi di apprendimento dei bambini.
Abbiamo relegato l’ascolto alle orecchie. Ma non è così. Tutto il corpo ascolta, le orecchie sono nel corpo.
I bambini di oggi non sono pronti per ascoltare. Se si assecondano le loro emozioni, si migliora l’attenzione.
Le vocali sono emozione sfogata con la voce, le consonanti sono imitazione del mondo.
Tutto il corpo è un risonatore, il mondo intero è un risonatore. Non possiamo fare a meno della risonanza.
La voce corre nel corpo e si modifica modificando la posizione delle labbra della bocca, dei risonatori corporei in cui l’aria convibra.
Le consonanti sono frutto di una lunghissima storia: suono, gesto, segno imitazione del mondo, descrizione del mondo a partire da sé stessi. I bambini hanno oggi questa consapevolezza? Gli insegnanti hanno oggi questa consapevolezza?
La scrittura alfabetica è la rappresentazione grafica del timbro del suono, la scrittura musicale, è la riproduzione dell’altezza e della durata del suono.
Senza corpo risonante non c’è suono, non c’è gesto, non c’è apprendimento.

La testimonianza di Fabio e Ilaria, due giovani audiolesi, è stata commuovente.
Quando erano piccoli hanno fatto musicoterapia con Giulia Cremaschi. E i risultati si vedono. Oggi, adulti, sono grati a Giulia per quanto hanno sperimentato sulla cassa armonica del pianoforte a coda. Hanno imparato ad ascoltare mettendo in atto i loro residui uditivi amplificati dagli apparecchi acustici, hanno sviluppato il linguaggio con un percorso spontaneo e naturale, fatto di canti, giochi, emozioni, condivisione.
Al termine del suo intervento Giulia Cremaschi svela il suo segreto: “Io a scuola mi diverto!”. È questa gioia che unita a tanta professionalità, ha dato speranza e vita ai tantissimi Fabio e Ilaria incontrati nel suo cammino.

La mattinata è proseguita con l’intervento della dott.ssa Simona Colpani che ha trattato il tema “Le emozioni dei bambini con gli adulti”.
I bambini sono tutti diversi, come i semi delle piante: nascono tutti con un patrimonio di abilità utili per affrontare il mondo e con una storia, che è personale, familiare, sociale, culturale. Saperli ascoltare per guidarli senza negare chi sono è difficile, perché ascoltarli non è obbedire alle loro richieste: la guida deve condurre le persone dove loro non sanno e non possono immaginarsi. La relazione d’ascolto è la via ma essa può esprimere le sue potenzialità se non abbiamo paura, paura dei pianti, della rabbia, dei “no” dei bambini. Emozioni come la paura e la rabbia sono indispensabili nell’uomo, come altre emozioni che noi chiamiamo “negative” ma che non lo sono perché, dice un proverbio arabo, “il tempo sempre bello fa il deserto”.
È indispensabile che non ci sostituiamo a loro, anche se si lamentano, quando possono provare a fare da soli! Lasciarli fare, sostenendoli, sapendo stare di fronte alla fatica, permette ai bambini di maturare autostima e di alimentare il locus of control interno, quello che fa sì che io mi ponga in modo attivo e propositivo di fronte al mondo, senza subire gli eventi, agendo per costruire ciò che desidero, un passo alla volta.
Noi adulti per i bambini siamo magici, come tante Mary Poppins, e questo ci dà un potere enorme: se ci fidiamo di loro si fideranno di loro stessi, e se gli daremo il permesso di sbagliare si daranno il permesso di tentare e ritentare per raggiungere l’obiettivo desiderato.

L’intervento conclusivo della dott.ssa Angela Cremaschi ha messo in luce come le emozioni degli adulti verso i bambini siano condizionate dalle parti interne bambine che ogni adulto ha. L’Analisi Transazionale offre un modello molto efficace per chiarire ciò. In ogni persona ci sono tre livelli, tre stati emozionali differenti: ADULTO, GENITORE, BAMBINO. Le nostre parti interiori per effetto della risonanza emozionale, risuonano con ciò che accade all’esterno, in vari modi differenti. I bambini esterni reali risvegliano quelli interni, che possono collaborare con quelli esterni o sentirsi minacciati…le variabili sono tantissime.
Il compito dell’adulto è quello di lavorare sulle proprie parti interne, lasciarle emergere al fine della loro evoluzione…per poter sviluppare la capacità di “agire un potere con gli altri” al posto di un “potere su gli altri” cosa che normalmente accade. I modelli di riferimento sono la Comunicazione non violenta di Rosenberg e i principi di Ego e Anima della PNL umanistica di M. Scardovelli, tra la persona leader si Sé e quella dipendente.

Il pubblico ha accolto con interesse e sentita partecipazione ogni relazione. Alla mattinata ha fatto seguito un laboratorio pratico, a numero chiuso.

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