DSA – PROVIAMO CON LA MUSICA? PARTE QUARTA

Autore: Cremaschi Trovesi Giulia

Prima pagina del “Giornale per bambini” con il terzo capitolo de “Le avventure di Pinocchio” (14 luglio 1881)

L’antropologo Steven Mithen, nel suo libro intitolato “Il canto degli antenati”, pag. 180 (Codice edizioni, Torino 2007), scrive: Colwyn Trevarthen, professore emerito di psicologia alla Edinburgh University, sostiene che il fatto di cogliere la natura ritmica e armonica del movimento del corpo è fondamentale per comprendere le origini della musica umana. Una volta definì la musica come niente più che “gestualità udibile” e spiegò che: “Se guardiamo le persone mentre si occupano delle loro faccende quotidiane, mentre lavorano da sole, mentre si mescolano e chiacchierano nella folla, o mentre trattano e collaborano in un’attività collettiva, notiamo che, per quanto il corpo umano sia costruito per camminare su due gambe al suono di un tamburo interno, allo stesso tempo fa complicati giochi di destrezza con fianchi, spalle e testa come fossero una torre di parti mobili indipendenti al di sopra dei piedi in marcia. Mentre camminiamo, siamo liberi di voltarci, di lanciare occhiate a destra e a sinistra, di salutare stendendo e agitando le braccia, di compiere elaborati movimenti con le mani, di parlare, il tutto in frasi coordinate dal ritmo fluente. Tale movimento ha una molteplicità di impulsi semi-indipendenti, una potenzialità per la coordinazione multiritmica che è sicuramente più ricca di quella posseduta da qualsiasi altra specie e che si presta a un uso intelligente di ripetizione e sincope.”

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4.1 Scuola dell’infanzia 
È importante identificare precocemente le possibili difficoltà di apprendimento e riconoscere i segnali di rischio già nella scuola dell’infanzia. 
Il bambino che confonde suoni, non completa le frasi, utilizza parole non adeguate al contesto o le sostituisce, omette suoni o parti di parole, sostituisce suoni, lettere ( p/b…) e ha un’espressione linguistica inadeguata, va supportato con attività personalizzate all’interno del gruppo. 
Il bambino che mostra, a cinque anni, queste difficoltà, può essere goffo, avere poca abilità nella manualità fine, a riconoscere la destra e la sinistra o avere difficoltà in compiti di memoria a breve termine, ad imparare filastrocche, a giocare con le parole.

Confonde i suoni… omette suoni… sostituisce suoni… È corretto il termine suono all’interno del linguaggio parlato? Nella cultura greca, al tempo di Platone, il termine ritmo era inteso in questo modo: suoni o sillabe in ordine matematico. L’apprendimento della lingua parlata, secondo il pensiero greco, riguarda suoni matematicamente ordinati. E’ l’ordine del ritmo, elemento fondante della nostra vita. Che cosa si dice, che cosa si intende con suono? La risposta è complessa perché il suono è un fenomeno complesso.

Il bambino che presenta inadeguatezze nel linguaggio può essere goffo… dicono le parole del testo ministeriale. Goffo è un aggettivo. In che cosa consiste la goffaggine? Nella scarsa manualità …. Si ripresenta la relazione mani / bocca. Ad una scarsa abilità nella manipolazione corrisponde un linguaggio parlato inadeguato ed un comportamento goffo. Sarà l’intervento dell’insegnante di lingua italiana o di un rieducatore che pone rimedio alla goffaggine? 
Corpo, mani bocca chiamano in causa la persona in quanto corpo, la musica con il movimento, la coordinazione, l’utilizzo di strumenti musicali e la voce. E’ chiamato in causa l’interagire musicale docente / discente dove il docente ascolta, accoglie, valorizza la goffaggine del discente. I movimenti goffi sono movimenti che si realizzano in un prima ed un dopo. Un musicista dovrebbe essere in grado di scovare il ritmo dei movimenti goffi e ricavarne una musica. In pedagogia musicale APMM e musicoterapia umanistica al professionista viene richiesta la capacità di improvvisare musica sul gesto della persona, sia alunno o persona con disabilità. A questa stregua la musica è nel gesto come il suono è nella voce, il ritmo è dovunque.

Quali rapporti ci sono fra la goffaggine ed il suono che si forma nella bocca, che esce verso l’esterno e si chiama voce? Come, dove, perché si forma la voce? Ci siamo mai poste queste domande? Non è scontato che tutte le persone siano in grado di parlare e non è scontato che tutti, in ogni momento della vita, siamo in grado di emettere la voce. Secondo il modo comune di pensare la voce è qualcosa di scontato, Eppure tutti, prima o poi, ci troviamo o ci siamo trovati in situazioni nelle quali non era possibile parlare, non si trovano le parole adatte, si avverte tensione, imbarazzo, si prova il desiderio di essere altrove etc. La voce parla della persona, di come sta, come si emoziona, come si rapporta con gli altri e nell’ambiente. Un bambino che ha un’espressione linguistica inadeguata, in realtà, attraverso la qualità della voce, le sue parole, le frasi brevi o interrotte, manifesta molto, molto di più, parla di se stesso, dei suoi vissuti, di quello che riesce, non riesce, non vuole, non può o crede di non poter fare.

Di che cosa è formata la voce? Se ci fermiamo a pensare possiamo stupirci per la semplicità della risposta: la voce è formata da onde sonore, che generano perturbazioni nell’aria. L’aria inspirata, premuta verso l’esterno, attraverso l’espirazione, si trasforma in voce. Sappiamo che i movimenti respiratori sono involontari, infatti respiriamo anche durante il sonno. Si potrebbe dedurre che la respirazione ha una sua autonomia. Non è così. Ci sono eventi in grado di modificare la respirazione: le emozioni. Le modificazioni nel tono corporeo riguardano la postura, ossia come poniamo noi stessi nello spazio. La postura corretta è la posizione migliore che noi dovremmo assumere per realizzare gesti, movimenti, spostamenti nello spazio, ossia essere in relazione costante con la forza di gravità per agire con il minor dispendio di energie. Il nostro vivere nello spazio-tempo, ossia porci in relazione con il mondo (postura) investe fattori neurofisiologici, biomeccanici, emotivi, psicologici, relazionali. Il filosofo E. Husserl spiega lo schema corporeo come la capacità di assumere posizioni idonee in ogni momento della vita, in relazione allo spazio, agli oggetti. Un bambino che fa cadere gli oggetti dal banco, urta contro i banchi dei compagni spostandosi nell’aula, giocherella con la coulisse della felpa, rosicchia il colletto della camicia e altro ancora, va condotto a gestire il suo spazio in relazione a quello occupato dagli oggetti, dagli altri. Ci vuole tempo perché superi i comportamenti abituali, i movimenti ormai prassici dei quali non si accorge neppure, perché impari altri movimenti. Il termine utilizzato dal testo ministeriale è “goffo”. Dietro a questa goffaggine si annidano aspetti riguardanti la postura, la gestione dello spazio, la qualità della respirazione, la coordinazione, l’attenzione. Una corretta respirazione porta ossigeno alla persona mantenendo viva l’attenzione. Questi brevi accenni chiariscono come sia importante guardare al bambino come persona (per sonare, suonare attraverso se stesso, convibrare con l’ambiente). Il corpo, attraverso le posture, gli sguardi, i movimenti delle mani, il tipo di appoggio dei piedi, dice dell’attenzione di un bambino. Come si ottiene una buona respirazione, una postura equilibrata, in un bambino troppo agitato o troppo tranquillo?

IL CORPO IL GRANDE ESCLUSO!

Inspirare vuol dire riempire i polmoni di aria. I polmoni sono formati da alveoli mossi dalla complessità della muscolatura corporea.

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La laringe nel momento della respirazione (aperta) e della fonazione (stretta)

Il diaframma (v. immagine) è un poderoso muscolo posto nella parte mediana del corpo che si muove dall’alto verso il basso, allargandosi, per far sì che i polmoni si riempiano di aria e dal basso verso l’alto, restringendosi, per premere l’aria (il fiato) che, passando attraverso la laringe, diventa voce. Tutto ciò che caratterizza la voce di ciascuno di noi, ossia il timbro vocale, è un mistero. La laringe, da sola, produce suoni poco percepibili. La voce si forma risuonando nelle cavità corporee. La voce si forma nel corpo, vibra nel corpo, lascia trapelare le emozioni, le tensioni che sono dentro al corpo. La voce in quanto tale, indipendentemente dalle parole che sono pronunciate, è il non verbale che dovremmo imparare ad ascoltare, a rispettare.

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Il diaframma separa gli organi interni (stomaco, intestino, fegato etc. ) dal cuore e dai polmoni.

Posture inadeguate generano al diaframma posizioni sbilanciate. La respirazione, la voce e l’attenzione ne risentono immediatamente. 
La voce fa vibrare le cavità risonanti del nostro corpo. I suoni gravi della voce son avvertibili appoggiando le mani sul petto, sul torace, sulle spalle, sulla schiena. La voce maschile è ben avvertibile al contatto diretto con le mani perché è più grave di quella femminile. A secondo dei nostri stati d’animo la voce fa vibrare le cavità risonanti in modi differenti. Le tensioni emotive modificano il tono della respirazione. 
La voce è corpo; si forma attraverso la tensione del corpo. Basta uno squilibrio che la voce si modifica. Prima ancora di prendere in esame l’espressione verbale di un bambino è bene osservare il suo modo di stare, di porsi, di appoggiare i piedi, di reggersi, di gestire se stesso. Il corpo parla delle emozioni, degli stati d’animo, dei vissuti, delle incertezze, dei desideri, dell’autostima (o disistima?) etc. La voce dipende dal respiro che investe la corporeità nella completezza di corpo vibrante. Il termine psicomotorio dovrebbe far suonare un campanello d’allarme. Perché psico – motorio, non più soltanto motorio? Se il problema fosse soltanto motorio basterebbe far eseguire ai bambini esercizi fisici per migliorare le posture, pertanto la qualità della respirazione, l’emissione della voce, l’espressione verbale. Non è così. Una postura piuttosto che un’altra è frutto di esperienze, abitudini, modo di porsi nella relazione con gli altri, con le cose, con gli interessi.

La risposta richiede passaggi di qualità che non tutti gli adulti sono disposti a compiere. La cultura da molti secoli ci ha fatto pensare e credere che sia possibile separare il corpo dalla mente. Gli studi sulla psicomotricità (Jeanne Le Boulche, La Pierre, B. Aucouturier, G.B. Soubiran, il filosofo Maurice Merleau-Ponty, per citare i più noti) conducono verso un altro modo di intendere l’essere umano. Ogni movimento nasce da una spinta della psiche. Il problema consiste nel riuscire a comprendere che cosa si intende con psiche che, nella sua origine, indicava anima. Ogni movimento scaturisce da qualcosa che reagisce alle emozioni. Ogni movimento esterno nasce da un e-moveo interiore, dalle emozioni. Il tipo di movimento, il respiro, la qualità della voce, l’espressione verbale sono le manifestazioni che fanno vedere all’esterno quello che vibra all’interno.

L’ambiente di vita con i suoi rumori, le voci, le relazioni interpersonali favoriscono o non favoriscono l’ascolto. Un bambino che non vuole ascoltare si rannicchia in se stesso, guarda altrove, sembra non ascoltare né vedere o, nel caso contrario, di dimena, si alza, va in giro, grida o altro ancora. I diversi comportamenti creano altri comportamenti, quelli dell’insegnante. Nel caso in cui il bambino sta per i fatti suoi, succede ben poco. Nel caso in cui si agita, corre in giro, grida o altro ancora, disturba le lezioni, mette l’insegnante nella condizione di non saper più che cosa deve, può fare. Osserviamo i bambini con occhio attento e vedremo che nei momenti di difficoltà trattengono il fiato, vanno in apnea (lo facciamo anche noi adulti) o gridano. Come può formarsi la voce e l’espressione verbale a queste condizioni? E’ un fatto innegabile che tutti, in momenti particolarmente delicati della vita, quali esami, esiti o altro, ci siamo accorti di trattenere il fiato, di far fatica a parlare.

LA MENTE, SOLO LA MENTE, SEPARATA DAL CORPO, DALLE EMOZIONI?

Dal testo ministeriale: “In una scuola che vive nell’ottica dell’inclusione, il lavoro in sezione si svolge in un clima sereno, caldo ed accogliente, con modalità differenziate. Si dovrà privilegiare l’uso di metodologie di carattere operativo su quelle di carattere trasmissivo, dare importanza all’attività psicomotoria, stimolare l’espressione attraverso tutti i linguaggi e favorire una vita di relazione caratterizzata da ritualità e convivialità serena. Importante risulterà la narrazione, l’invenzione di storie, il loro completamento, la loro ricostruzione, senza dimenticare la memorizzazione di filastrocche, poesie e conte, nonché i giochi di manipolazione dei suoni all’interno delle parole”.

Il testo riporta belle parole. Leggendo si immagina un gruppo classe di scolari sereni, sorridenti guidati da un’insegnate altrettanto sorridente che canta o legge testi gradevoli. Certo che le cose non vanno così. La scuola separa i linguaggi in verbale da quelli non verbali. Questa separazione è fatale. Come farà il suono ad essere all’origine della parola, il ritmo ad essere la struttura della parola, gli accenti (intensità del suono) a caratterizzare le parole se il suono rientra nel non verbale?

Attraverso gli esercizi di grafica, si lavora sulla motricità fine, sulla funzionalità della mano e, contemporaneamente, sull’organizzazione mentale, ovvero sul nesso tra l’assunzione immaginativa di un dato ed il suo tradursi in azione. Il bambino non “copia” le forme, ma le elabora interiormente. Anche la psicomotrità rientra nei linguaggi non verbali.

Il linguaggio è il miglior predittore delle difficoltà di lettura, per questo è bene proporre ai bambini esercizi linguistici -ovvero “operazioni meta fonologiche” -sotto forma di giochi. 
Le operazioni metafonologiche richieste per scandire e manipolare le parole a livello sillabico sono accessibili a bambini che non hanno ancora avuto un’istruzione formale ed esplicita del codice scritto. 
L’operazione metafonologica a livello sillabico (scandire per esempio la parola cane in ca-ne) consente una fruibilità del linguaggio immediata, in quanto la sillaba ha un legame naturale con la produzione verbale essendo coincidente con la realtà dei singoli atti articolatori (le due sillabe della parola ca-ne corrispondono ad altrettanti atti articolatori nell’espressione verbale ed è quindi molto facilmente identificabile).

“Metafonologia è una particolare conoscenza metalinguistica che consiste nella “capacità di percepire e riconoscere per via uditiva i fonemi che compongono le parole del linguaggio parlato, operando con gli stessi adeguate trasformazioni (Bortolini 1985). Fonema, unità linguistica minima priva di senso proprio”. www.orvietosettemartiri.it
“La competenza metafonologica consiste nel saper compiere un’analisi del linguaggio parlato e manipolarne le unità di cui è costituito. Nel corso del suo sviluppo linguistico, infatti, il bambino diviene consapevole che le parole sono fatte di suoni, e che tali suoni possono essere trasformati: questo processo è fondamentale per l’acquisizione del linguaggio scritto”.www.lalogopedista.com

È possibile dare una spiegazione alla rappresentazione astratta del suono leggendo la frase successiva: “La disciplina che individua e studia i fonemi si chiama fonologia (o fonemica).Secondo lo strutturalismo rappresenta l’unità minima di seconda articolazione, la più piccola e senza significato proprio”. (Wikipedia).

Finalmente possiamo chiarirci le idee! Stiamo leggendo delle frasi che si rifanno allo strutturalismo linguistico secondo il quale le parole sono codici arbitrari. Mettiamo le cose a posto:
– il fonema è privo di senso;
– le parole sono codici arbitrari.

Il linguaggio verbale che tutti utilizziamo è vuoto di senso! In questa visione teorica asettica mancano il corpo vibrante ed il mondo. Per la fenomenologia l’uomo è “essere nel mondo”. Il mondo è l’orchestra che ha fatto parlare l’uomo! Togliendo la relazione che cosa resta?
La domanda più grande si pone ora: chi opera secondo questi criteri sa di essere dentro ad una teoria specifica? Questi presupposti teorici sono in crisi da lungo tempo. Basta citare: “L’antropologo Steven Mithen, nel suo libro intitolato “Il canto degli antenati”, pag. 180 (Codice edizioni, Torino 2007), scrive: Colwyn Trevarthen, professore emerito di psicologia alla Edinburgh University, sostiene che il fatto di cogliere la natura ritmica e armonica del movimento del corpo è fondamentale per comprendere le origini della musica umana. Una volta definì la musica come niente più che “gestualità udibile” e spiegò che: “Se guardiamo le persone mentre si occupano delle loro faccende quotidiane, mentre lavorano da sole, mentre si mescolano e chiacchierano nella folla, o mentre trattano e collaborano in un’attività collettiva, notiamo che, per quanto il corpo umano sia costruito per camminare su due gambe al suono di un tamburo interno, allo stesso tempo fa complicati giochi di destrezza con fianchi, spalle e testa come fossero una torre di parti mobili indipendenti al di sopra dei piedi in marcia. Mentre camminiamo, siamo liberi di voltarci, di lanciare occhiate a destra e a sinistra, di salutare stendendo e agitando le braccia, di compiere elaborati movimenti con le mani, di parlare, il tutto in frasi coordinate dal ritmo fluente. Tale movimento ha una molteplicità di impulsi semi-indipendenti, una potenzialità per la coordinazione multiritmica che è sicuramente più ricca di quella posseduta da qualsiasi altra specie e che si presta a un uso intelligente di ripetizione e sincope.”

Il bambino impara a parlare perché è vissuto per nove mesi a contatto con i suoni percepiti attraverso il corpo, così come sostiene Trewarten. Il corpo è il protagonista degli apprendimenti; il corpo è del tutto estraneo a questo modi di analizzare il linguaggio. Perché calare il criterio analitico adulto sul bambino? Per il bambino il cane è un animale che gli piace o del quale può avere paura. Separando la parola cane in ca e in ne il bambino si trova davanti a qualcosa che è privo di senso!

“Ci sono due modi molto generali di conoscere: analizzare e comprendere. L’analisi è di gran lunga il mezzo più potente, idealmente replicabile all’infinito, cioè senza limite definito alla sua capacità di dividere e scomporre. Senza l’esperienza globale del comprendere, però, nessuna analisi sarebbe possibile.
Spesso la potenza e l’efficacia pratica dell’analisi ci rende ciechi e dimentichi del momento globale del comprendere, che nondimeno è all’origine di ogni nostra esperienza e di ogni nostro apprendimento. Finiamo allora per essere indotti a credere che gli elementi emersi nell’analisi siano essi stessi originari, e non il frutto di una nostra operazione scompositiva sul corpo indistinto della primordiale comprensione.
Di questo errore di prospettiva soffre in particolare ciò che chiamiamo linguaggio. A partire dalla mirabile analisi e trascrizione del discorso orale operata dai segni stilizzati dell’alfabeto (una delle più perfette e longeve creazioni dello spirito greco), ci siamo per esempio irriflessivamente convinti che le “lettere” (vocali, consonanti, sillabe) siano i mattoni originari che costituiscono “in sé” il linguaggio. Che le cose non siano così semplici e che propriamente non stiano così basterebbe a dimostrarlo il fatto che nessun bambino ha imparato o imparerebbe a parlare grazie a un apprendimento preventivo, separato e analitico dei “suoni del linguaggio che compongono le parole”: il bambino procede per unità di senso globali (‘mamma’, ‘pappa’), dopo vocalizzi di prova e addestramento, unità che poi connette in globalità più ampie (mamma: pappa!)”. Carlo Sini prefazione dal libro “Dal suono al segno” (G. Cremaschi Trovesi, M. Verdina ed. Junior)

Le parole del filosofo sono chiare. Muoversi secondo il pensiero umanistico richiede agli adulti di lasciare le loro certezze per incominciare ad ascoltare il bambino, il suo modo di apprendere (che è stato il nostro modo di apprendere), il suo diritto di sbagliare, di distrarsi, di non capire (che cosa abbiamo vissuti nell’infanzia quando ci siamo trovati in difficoltà e l’adulto non ci ha capito, non ha saputo aiutarci ma ci ha soltanto giudicati negativamente?). Nella metafogonologia il suono è tenuto in conto in quanto onda vibratoria che investe il corpo vibrante? Ma no! Il fonema, ossia il suono da solo, è il fonema privo di senso! Ebbene questo fonema privo di senso è un timbro sonoro. Che cosa è il timbro sonoro? E’ l’attributo, aspetto o caratteristica del suono che ci consente di riconoscere la fonte sonora. E’ possibile che un bambino non sappia riconoscere una fonte sonora, non diriga lo sguardo verso ciò che ha attirato il suo ascolto? Se priviamo di senso il timbro sonoro allora il bambino non volgerà il capo. perché non ha senso interessarsi a qualcosa che è priva di senso! Si scrive il timbro dei suoni? Certo che si scrive il timbro del suono! E’ il primo attributo del suono che l’umanità ha saputo scrivere nel passare dal suono al segno.