DSA – PROVIAMO CON LA MUSICA? PARTE TERZA

Autore: Cremaschi Trovesi Giulia

Prima pagina del “Giornale per bambini” con il terzo capitolo de “Le avventure di Pinocchio” (14 luglio 1881)

Leggiamo dal testo del MIUR:


“Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Dipartimento per l’Istruzione Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione”
Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento.

3.1 Documentazione dei percorsi didattici

Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, nonché gli strumenti compensativi e le misure dispensative dovranno essere dalle istituzioni scolastiche esplicitate e formalizzate, al fine di assicurare uno strumento utile alla continuità didattica e alla condivisione con la famiglia delle iniziative intraprese.

A questo riguardo, la scuola predispone, nelle forme ritenute idonee e in tempi che non superino il primo trimestre scolastico, un documento che dovrà contenere almeno le seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte dal disturbo:
– dati anagrafici dell’alunno;
– tipologia di disturbo;
– attività didattiche individualizzate;
– attività didattiche personalizzate;
– strumenti compensativi utilizzati;
– misure dispensative adottate;
– forme di verifica e valutazione personalizzate.

4. UNA DIDATTICA PER GLI ALUNNI CON DSA

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un progressivo incremento in ambito clinico degli studi, delle ricerche e delle attività scientifiche sul tema dei DSA. Consultando la bibliografia in argomento, si rileva infatti una quantità preponderante di pubblicazioni nei settori della clinica e delle neuroscienze, rispetto a quelli pedagogico-didattici. In tempi più recenti, anche per le dimensioni che ha assunto il fenomeno nelle nostre scuole, oltre che per l’attenzione determinata dagli interventi legislativi in materia, si è manifestato un sempre maggiore interesse per la messa a punto e l’aggiornamento di metodologie didattiche a favore dei bambini con DSA.

Sulla base di una impostazione tuttora ritenuta valida, la didattica trae orientamento da considerazioni di carattere psicopedagogico. A tale riguardo, può essere utile far riferimento a testi redatti nell’ambito di studi e ricerche che si concentrano sul comportamento manifesto, sulla fenomenologia dei DSA, senza tralasciare di indagare e di interpretare i modi interiori dell’esperienza. In tale ambito, si cerca di indagare il mondo del bambino dislessico secondo la sua prospettiva, non come osservatori esterni. Si porta il lettore attraverso vari esempi a comprendere come il bambino dislessico non riesce a mettersi da un punto di vista unitario, ciò che provoca una corsa ai punti di riferimento, poiché ad ogni movimento verso il mondo sorge spontaneamente un doppio significato. Un esempio è quello del turista che si trova in Inghilterra dove vi è un sistema di guida diverso e dove si fa fatica a guadagnare nuovi punti di riferimento. E vi è l’esempio di un Paese ancora più insolito dove la barriera del linguaggio è raddoppiata da quella dei significati. Immaginiamo di trovarci in un posto con una lingua totalmente diversa o che non riusciamo a ben comprendere: sentiamo sorgere un senso di profondo disagio perché manca “una comunicazione completa, reale, intima”. Ma riusciamo a tranquillizzarci perché il nostro soggiorno avrà termine e, con il rientro a casa, potremo tornare ad esprimerci, a parlare in rapporto allo stesso quadro di riferimento, a trovare uno scambio vero, uno scambio pieno. Pensiamo invece al disagio di questi bambini che non possono tornare a casa, in un mondo dove devono rincorrere punti di riferimento…che rimangono stranieri, soprattutto se noi siamo per loro stranieri, chiudendoci nell’incomprensione.

In tal senso, la Scuola dell’Infanzia svolge un ruolo di assoluta importanza sia a livello preventivo, sia nella promozione e nell’avvio di un corretto e armonioso sviluppo – del miglior sviluppo possibile -del bambino in tutto il percorso scolare, e non solo. …..

Come è noto, la diagnosi di DSA può essere formulata con certezza alla fine della seconda classe della scuola primaria. Dunque, il disturbo di apprendimento è conclamato quando già il bambino ha superato il periodo di insegnamento della letto-scrittura e dei primi elementi del calcolo. Ma è questo il periodo cruciale e più delicato tanto per il dislessico, che per il disgrafico, il disortografico e il discalculico. 
Se, ad esempio, in quella classe si è fatto ricorso a metodologie non adeguate, senza prestare la giusta attenzione alle esigenze formative ed alle ‘fragilità’ di alcuni alunni, avremo non soltanto perduto un’occasione preziosa per far sviluppare le migliori potenzialità di quel bambino, ma forse avremo anche minato seriamente il suo percorso formativo. 
Per questo assume importanza fondamentale che sin dalla scuola dell’Infanzia si possa prestare attenzione a possibili DSA e porre in atto tutti gli interventi conseguenti, ossia – in primis – tutte le strategie didattiche disponibili. Se poi l’osservazione pedagogica o il percorso clinico porteranno a constatare che si è trattato di una mera difficoltà di apprendimento anziché di un disturbo, sarà meglio per tutti. Si deve infatti sottolineare che le metodologie didattiche adatte per i bambini con DSA sono valide per ogni bambino, e non viceversa.

Nei testi ministeriali ritorna frequentemente il termine didattica. A tratti troviamo pedagogia o psicopedagogia. Gli studi sugli aspetti clinici sembrano essere preponderanti rispetto a quelli di natura pedagogico – didattica. Non compare mai il termine relazione adulto/bambino. In che cosa consiste la relazione adulto / bambino, docente /discente in classe? Sono in gioco tre elementi:
– il docente;
– il discente;
– la disciplina di studio. 
Il termine disciplina gioca su due versanti: la disciplina di studio da un lato, il comportamento, ossia il modo di essere disciplinato da parte dello studente, dall’altro lato. Poiché tutti noi adulti siamo stati studenti è possibile porre una domanda: una materia di studio poteva essere più o meno gradita anche per come presentata dal singolo insegnante. Il modo di porsi di un insegnante rendeva più o meno gradevole lo studio. Questo entra nel capitolo della relazione del “re – latio” ossia di ciò che collega. Che cosa è ciò che collega il docente con i discenti? La disciplina che, nel contempo, indica ciò che si studia e “come” ci si accosta allo studio. 
Sono importanti queste osservazioni? Possiamo dare per scontato che la relazione docente / discente non ha nulla a che fare con i problemi di apprendimento, con i problemi di comportamento, a maggior motivo con il fatto che il comportamento può influenzare la qualità dell’apprendimento? 
Perfino le valutazioni dei test sono state messe in discussioni perché colui che fa il test ne influenza l’esito!

Leggendo i testi del Ministero sembrerebbe che il bambino, diventato oggetto di studio attraverso la somministrazioni di test che dovrebbero servire per quantificare le sue effettive difficoltà di apprendimento, possa superarle se viene sottoposto al metodo adatto. Nella prima parte (“Serve ancora la pedagogia?”) di questi scritti si è osservato come non sia possibile dimostrare la natura clinica dei disturbi di apprendimento. I problemi di apprendimento non sono malattie. Così come non è possibile separare gli aspetti della relazione interpersonale, del comportamento, dell’attenzione, dall’apprendimento.

Il Ministero parla di metodologie. L’applicazione di un metodo, di un altro metodo, di un altro ancora, dove conduce? L’alunno sottoposto a prove su prove che cosa sente di sé, quale stima ha o non ha di se stesso? Quanti, quali metodi ci sono per insegnare a leggere, scrivere, far di conto? E’ vero, ci sono tanti metodi. Dove si arriva con i metodi? Parto da un esempio. 
Sembra che il mondo scolastico debba soffrire di dolore, a partire dalla classe seconda della scuola primaria, per l’apprendimento mnemonico delle tabelline. Obiettivo da raggiungere: l’apprendimento mnemonico delle tabelline. Ecco un esempio di metodo: applicare a canti conosciuti, parole differenti. L’esempio riportato è sulla melodia di “Fra Martino”:

– “Due e quattro,
il gallo è matto,
sei, otto,
è molto ghiotto,
dieci e poi dodici,
mangia le sue forbici,
quattordici e sedici,
vengono i medici,
diciotto e venti, 
con gli assistenti ”.

E’ perfino ovvio aggiungere che, a fianco di queste parole, ci sono i disegni del gallo matto che si infila le forbici in gola. 
Quali contenuti educativi ci sono in questo metodo?
Su quali aspetti della sensibilità infantile fanno leva queste parole? 
Quali aspetti della difficoltà nell’imparare vengono affrontati?
Nell’intento di rispondere alle domande poste, va sottolineato che il canto, perché voce intonata, crea emozioni e cattura l’attenzione dei bambini. Si utilizza il fascino del canto per conseguire un obiettivo che non ha nulla a che fare con la musica. Si costruisce un metodo ignorando il mondo delle emozioni. Il metodo consiste nel fare imparare a memoria. Per mettere in moto la memoria si ricorre al canto che genera emozioni. 
Quali emozioni sorgeranno in un bambino che immagina il gallo che si infila le forbici in gola?
Quale apprendimento si realizza nel bambino che ha imparato a memoria la numerazione per due, per tre etc.? 
Il bambino è intenzionato ad imparare la sequenza delle numerazioni? 
Il bambino sa che attraverso il canto deve memorizzare le sequenze dei numeri?
Il concetto di moltiplicazione dove è andato a finire?

Si pone un interrogativo che dovrebbe precedere gli altri: quale pensiero teorico sta alla base del ricorrere alle emozioni generate dal canto per memorizzare sequenze di numeri? L’apprendimento mnemonico della numerazione per due, tre etc. non è ciò che la tavola pitagorica insegna. Pitagora attraverso la pratica dei numeri arriva ai concetti.

Teorico è una parola di origine greca che significava “ciò che si riferisce ai procedimenti”. Teoria, nel senso originario, indicava il guardare, l’osservare. La filosofia teoretica si occupa dei problemi filosofici più generali, con speciale attenzione alle questioni riguardanti il fondamento stesso della conoscenza e la struttura fondamentale della realtà (da Wikipedia). Per Aristotele “La filosofia teoretica è allo stesso tempo etica”. “…..è necessario fidarsi più dell’osservazione dei fatti che dei ragionamenti, e dei ragionamenti solo nella misura in cui corrispondono ai fatti osservati”.

Gli insegnanti sanno di applicare un metodo fondato sua teoria piuttosto che un’altra? Sono in grado di accorgersi che una canzoncina è il pretesto che deve condurre verso un obiettivo che col canto non ha nulla a che fare?

“Fra Martino”

Fra Martino campanaro è un canone a quattro voci. Ebbene, la proposta di entrare nella logica delle composizioni musicali è inaccettabile perché Fra Martino (come mi sono sentita dire spessissime volte) è un canto da scuola materna. Faccio appello alla storia della musica. Quando, in quale periodo storico sorge la parola contrappunto? Dobbiamo andare in un arco di tempo che comprende il tardo medioevo ed il rinascimento, quando la notazione musicale fa passi significativi verso una chiarezza dei segni che indichino i rapporti di durata fra i suoni. Fra Martino è un contrappunto (nota contro nota) doppio, ossia la prima parte della melodia si sovrappone con la seconda, la terza, la quarta parte. Le regole del contrappunto sono fisse, non si possono cambiare. Il canone è la forma musicale dove una sola nota non può essere cambiata. Canone nasce come termine musicale utilizzato in altre circostanze. Una melodia, si sovrappone a se stessa due, tre quattro e più volte ancora, innestandosi in un punto, uno ed uno solo, come precisa la matematica.

Questo mondo di rapporti e regole musicali non solo è sconosciuto ma viene perfino distorto. Chi distorce l’utilizzo della melodia conosce il contrappunto doppio, sa che cosa sta facendo? Quello che conta è usare la melodia di Fra Martino per accattivare l’attenzione dei bambini onde ottenere la memorizzazione di una sequenza di numeri.

Proviamo a dedicare attenzione a termini prettamente musicali di uso comune: accordo, ritmo (aritmetica), canone, armonia. 
Accordo deriva da corda, ossia cor –cordis, in italiano cuore. Le nuove conoscenze delle neuro scienze ci insegnano che, nel nostro cuore, ci sono almeno quarantamila neuroni. Allora è vero, come si pensava nel passato, che il cuore è il luogo dove si avvertono gli affetti, il dolore, i sentimenti! Non stupisce che le corde degli strumenti musicali siano collegate al cuore. Per accordo si intende la sovrapposizione di suoni in relazione fra loro. La pratica e lo studio di queste sovrapposizioni e delle relazioni che ne derivano si chiama armonia, ossia giusta proporzione fra le parti. Le distanze fra i suoni, in senso melodico, riguarda gli intervalli e sono valutate in termini numerici: intervallo di seconda maggiore o minore, terza maggiore o minore, quarta giusta, eccedente o diminuita etc. Le distanze fra i suoni nell’armonia sono valutate in termini numerici. Si utilizzano i numeri ordinali per il riferimento ai gradi della scala e quelli cardinali per l’accordo. Anche i valori ritmici sono valutati in rapporti frazionari. Fra Martino è, al contempo, polifonia (sovrapposizione di parti come nell’antico contrappunto) e armonia. Il ritmo è all’origine di tutto, della stessa aritmetica, dove il prefisso greco “ari” rinforza ancor di più il ritmo, ossia la successione nel tempo. Alla fine dei conti è arduo separare la matematica dalla musica, dal pensiero, dalla parola.

Alla luce di questi chiarimenti ha senso parlare di fondamenti di pensiero che reggono una teoria. Questi fondamenti possono anche essere chiamati epistemologia.

Dal testo del Ministero: “Fin dall’inizio della scuola primaria, qualora il bambino non abbia ancora sviluppato i prerequisiti specifici, sarà opportuno soffermarsi su questi, in analogia alla scuola dell’infanzia, per poi sviluppare in modo adeguato la comprensione della connessione tra i simboli scritti del numero e la corrispondenza alle relative quantità. 
Particolare attenzione sarà posta da un punto di vista didattico alle abilità di conteggio (non solo uno a uno, come nella scuola dell’infanzia, ma anche uno a due, due a due…) anello di congiunzione tra processi dei numeri e del calcolo, che dovranno essere esercitate in diverse condizioni, scolastiche e ludiche (ad esempio, giochi con le carte, con i dadi…). 
Fin dall’inizio della scuola primaria è necessario avviare al conteggio e al calcolo a mente, processi necessari all’evoluzione dell’intelligenza numerica. 
Più dettagliatamente, la ricerca scientifica ha evidenziato che nella scuola primaria le strategie di potenziamento dell’intelligenza numerica devono riguardare:
– processi di conteggio;
– processi lessicali;
– processi semantici;
– processi sintattici;
– calcolo a mente; 
– calcolo scritto.

Il conteggio (counting), cioè la capacità di rispondere alla domanda “quanti sono?” è fondamentale soprattutto nel primo ciclo”.

Il numero sembrerebbe nascere dal numero. Il numero è già nell’ordine ritmico del grembo materno, la prima orchestra. L’ordine della numerazione, ossia la scansione di un passo dopo l’altro (concetto di misura dello spazio), è il ritmo che scandisce ogni attimo di vita a partire dal concepimento. Perché non introdurre una pratica musicale che tenga in conto il bagaglio di esperienze che un bambino porta in sé?

Il testo ministeriale dice ancora: “Si deve infatti sottolineare che le metodologie didattiche adatte per i bambini con DSA sono valide per ogni bambino, e non viceversa”. Ne consegue che le metodologie adatte per ogni bambino non sono valide per i bambini con DSA. Proviamo a mettere la frase in un altro modo: “Ciò che non va bene per i bambini con DSA non va bene neanche per gli altri!”

La canzoncina del gallo matto è adatta per ogni bambino? Di quale bambino si sta parlando?
– I bambini che imparano senza difficoltà trarrebbero profitto da questa canzoncina?
– Probabilmente inorridiscono o ridono al pensiero delle forbici nella gola del gallo.

Alla fine dei conti l’utilizzo di canzoncine, disegni, colori, materiali provenienti dalle materie comunemente dette “non verbali”, sono espedienti utilizzati per raggiungere un risultato che, altrimenti, sembra irraggiungibile. Il risultato vuole che il bambino memorizzi le tabelline, riesca a leggere comprendendo il testo, scriva senza errori. Questo modo di procedere non tiene in conto il percorso.

Percorso / risultato

Il percorso della memoria è iniziato in ciascuno di noi a partire dalle esperienze ritmico – sonoro – musicali vissute nella prima orchestra. In ogni gesto, movimento, azione c’è un prima ed un dopo, un ritmo. E’ del bambino compiere lo stesso gesto più e più volte, per es. nel gioco del riempire e vuotare. Perché non tenere in conto questi percorsi che, fra l’altro, si svolgono nell’età della scuola dell’infanzia? 
Ascoltare il bambino vuol dire accogliere il suo modo di essere e pensare per condurlo verso percorsi che non conosce ancora ma che fanno parte del bagaglio umano. Ontogenesi e filogenesi si relazionano fra loro. Piuttosto che aggirare l’ostacolo servendosi di una canzoncina conviene proporre i numeri seguendo criteri epistemologici. Gli ostacoli che incontrano i bambini fanno parte della storia dell’umanità. L’uomo è giunto a scrivere e leggere attraverso le esperienze. Il bambino ha bisogno della stessa cosa.

M.Merleau-Ponty, dice: ‹‹Tutto l’universo della scienza è costruito sul mondo vissuto e se vogliamo pensare la scienza stessa con rigore, valutarne esattamente il senso e la portata, dobbiamo anzitutto risvegliare questa esperienza del mondo di cui essa è l’espressione seconda ››.
‹‹Non si tratta di ‹‹informare››, di travasare nello spirito di coloro che ascoltano un certo contenuto teorico, ma piuttosto di ‹‹formare››, e si tratta anche di sviluppare una ricerca in comune: questa è la vita teoretica ››
 (Aristotele).