EDGAR WILLEMS: LA MUSICA È PER TUTTI
Autore: Cremaschi Trovesi Giulia
“… e quando Andrè Malraux (scrittore e politico Parigi, 1901, Créteil 1976) afferma che l’occidente si è separato dal Cosmo, noi possiamo dirgli che questo non vale per la musica e per l’educazione musicale, così come noi la intendiamo. Allo stesso modo non deve stupire che fra i più grandi educatori dei secoli passati, molti hanno scelto la musica come mezzo educativo per eccellenza….”
Quando per gli orientali, come per i cinesi, per esempio, “la musica è il legame fra il cielo e la terra”, bisogna capire che la musica è, nello stesso momento, profondamente spirituale e materiale; materiale a causa della vibrazione fisica del suono e spirituale perché la musica, per loro, è di natura metafisica, cosa difficile da ammettere per gli occidentali. D’altra parte non bisogna perdere di vista che la musica degli orientali è melodica, essa è legata all’affettività, alla sensibilità emozionale…. È in questa stessa non conoscenza della natura delle razze, più dinamiche, emotive o intellettuali, che si nasconde la potenza sociale e morale della musica presso i Greci. È un grave errore immaginare il popolo greco come gli occidentali. Il mentale aveva meno potere su di loro; l’emotività dominava.
Quando Rahindranath Tagore (ThàKhur, noto anche come Gurudev, India 1861 – 1941) dice che “la musica è la forma più pura fra le arti e, per conseguenza, l’espressione più diretta della bellezza”, egli mette la musica al di sopra della poesia e della letteratura che gli erano più famigliari.
C’è Ynayat Khan (India 1882 – 1927) che dice che “la musica è l’arte delle arti e la scienza delle scienze”.
Baulelaire (Parigi 1821 – 1867), anche lui poeta riunisce questi due poeti orientali quando annuncia “la musica prima di ogni cosa” (da “lI primato della musica fra le arti” Edgar Willems, Bolletin de l’association internationale d’èducation musicale, 1975).
Riporto dallo stesso bollettino, dal resoconto sul Congresso svoltosi presso la Sala del Conservatorio “G. Verdi” di Torino nei giorni dal 29 luglio al 5 agosto 1975, si legge “…Infine una grande parte della giornata di mercoledì era riservata a tre lezioni dedicate a tre classi della scuola media di Bergamo, guidate da Giulia Cremaschi Trovesi. Le qualità di queste presentazioni davano la testimonianza di un lavoro in profondità compiuto dai nostri amici italiani sulla via tracciata dal prof. Willems”.
Ho ripreso, traducendo in italiano, le parole pubblicate sui bollettini dell’associazione Willems. Dal 1975 sono trascorsi molti anni. È facoltà riservata a noi esseri umani, quella di far rivivere gli eventi, attraverso la memoria. Nell’anno 1974, a Lyon, il prof. Jacques Chapuis mi affidò l’incarico di essere presente, in Italia, a Torino, con alunni italiani, al congresso Willems. Così decisi di portare gli alunni della scuola media statale di Almeno S. Salvatore, paese posto all’inizio di una delle valli bergamasche. A che cosa sarebbero andati incontro gli alunni della scuola media statale di un paesino di una città di provincia, messi a confronto con gruppi di allievi di corsi privati di scuole di musica svizzere, francesi, portoghesi, tedesche? Gli scolari della scuola statale sarebbero andati incontro ad un successo tale che non fu possibile procedere con le attività congressuali programmate dopo le loro lezioni aperte. Non avrei potuto immaginare che Edgar Willems, dopo aver assistito alle nostre lezioni aperte, avrebbe voluto parlare a lungo con me. Non era facile parlare con il maestro, porgli delle domande, dialogare con lui. Dopo le tre lezioni aperte al pubblico (alunni della classe prima, seconda e terza media) al Congresso di Torino, fu Willems, il maestro, che venne a cercare me. Era rimasto colpito perché avevo portato in pubblico gli studenti con le loro evidenti e differenti realtà socio-ambientali-culturali. Gli alunni di una scuola pubblica avevano conseguito un livello di conoscenze musicali superiore a quello degli alunni stranieri provenienti da scuole private. Mi disse una frase che è risuonata nella mia memoria, negli anni, in modo sempre più profondo: “Vous avez compris: la musique est pour tout le monde” (Lei ha capito; la musica è per tutti).
Vous avez compris: la musique est pour tout le monde
Mi aveva riservato un fuoco di fila di domande: “Perché avevo portato alunni “difficili”? Perché i flauti dolci? Perché la diteggiatura tedesca dei flauti? Perché il doppio pentagramma se, per i flauti dolci, ne sarebbe bastato uno? Quali obiettivi mi ponevo improvvisando al pianoforte per accompagnare gli alunni? Quali criteri musicali seguivo nell’improvvisare? Perché non ero schematica sulle risposte vocali o strumentali improvvisate dagli alunni? Quali difficoltà avevo incontrato nel fare attività di movimento con alunni in età pre-adolescenziale? Quali obiettivi mi ponevo nei confronti degli alunni? La cura per la loro crescita e formazione o l’esclusiva attenzione all’apprendimento della musica?….”
Il maestro si era rivolto a me, giovane insegnante, per dialogare con me. Sembrava che ci conoscessimo da sempre. Mi sottolineò il fatto che avevo messo in luce i valori formativi della musica con alunni provenienti anche da ceti sociali disagiati, svantaggiati. Gli dissi che da qualche anno avevo incominciato ad avventurarmi nel mondo dei bambini o ragazzi con handicap. Il maestro mi incoraggiò a procedere sulla strada della musicoterapia. Il maestro, che aveva ormai ottantacinque anni, mi disse qualcosa di personale che deve rimanere fra lui e me. Fu Maestro, nel senso educativo, socratico, maieutico del termine. Nel rivolgermi le sue domande, nel rispondere alle mie domande, egli mi diede l’insegnamento più profondo che avrebbe potuto darmi: Edgar Willems mi esortò a procedere sulla strada della musicoterapia che, per lui, non era più percorribile. Mi raccomandò di non dimenticare che avrei sempre potuto contare su me stessa. Mi fece vivere il valore della reciprocità docente/discente.
Quando, nel 1976, portai al Congresso Willems, svoltosi presso il Monastero di Niederalteich (Monaco di Baviera), gli alunni di una terza elementare, il maestro era ammalato. Non lo avrei mai più incontrato. È stato maestro anche in questo, nel rapportarsi al valore della vita che comprende la morte. I suoi insegnamenti hanno continuato a rinnovare in me la creatività, nella mia pratica giornaliera.
Che cosa ho appreso, che cosa mi ha lasciato Willems?
Procedo a partire dagli insegnamenti fondamentali: avere fiducia in me stessa, saper ascoltare gli alunni anche nelle condizioni più difficili (rapporto docente/discente, l’apprendimento è reciproco), non dare nulla per scontato, non smettere di interrogarsi sul proprio agire, cercare il senso nelle azioni, nei comportamenti degli allievi (in particolare nei comportamenti comunemente giudicati negativi).
Proseguii sulla strada dell’insegnamento nella scuola statale (avevo vinto il concorso a cattedra per l’insegnamento di “Musica e canto” presso l’Istituto Magistrale) e dell’esplorare il linguaggio dei suoni con persone (bambini, ragazzi), come si diceva allora, handicappati (psicosi, autismo, sordità, sindromi varie, ecc.). I due ambiti, quello educativo e terapeutico, si congiungevano perché nel 1974, con la legge 104, iniziò in Italia il cammino dell’inserimento e dell’integrazione scolastica degli alunni con handicap.
Una serie di coincidenze mi portò ad intraprendere una collaborazione che sarebbe durata per vent’anni, con l’Istituto di Audiologia dell’Università degli Studi di Milano.
Gli studi di Willems sull’orecchio musicale, a contatto con i bambini sordi, prendevano dimensioni sempre più vaste. Mi ponevo domande su domande alle quali nessuno era in grado di rispondere. Come avviene l’ascolto? Il pianoforte a coda era quanto di più affascinante potesse esistere per i bambini sordi. Lo abbracciavano, si ficcavano sotto, non si stancavano di stare attaccati allo strumento. Così incominciai a farli stendere o sedere sopra alla cassa armonica del pianoforte a coda. Più facevo pratica, più sorgevano domande. Willems diceva che, alla base della musica, c’è l’acustica. È proprio così. Non si tratta dell’acustica studiata per gli esami in Conservatorio bensì dell’interrogarsi attraverso la fisica acustica e psicoacustica.
Socrate sosteneva che era la stessa cosa insegnare la matematica, la letteratura, la filosofia, la musica, le arti. Willems condivideva questo pensiero. Ripresi a studiare l’acustica su testi che non conoscevo. Conobbi il maestro Pietro Righini che volle condividere di persona le esperienze con i bambini sordi. Hanno ragione i bambini sordi: le onde sonore investono i nostri corpi, secondo le leggi fisiche della risonanza (acustico-corporea e uditiva) messa in moto dai suoni fondamentali e armonici. (Giulia Cremaschi Trovesi “Il corpo vibrante” ed. Scient. Ma.Gi. Roma 2000)
Suoni – Ritmi – Movimento
Gli strumentini idiofoni
Le connessioni fra suoni – ritmi – movimenti assumevano un senso sempre più profondo. Connettere suoni – ritmo – movimento vuol dire avventurarsi alla scoperta del percepire, della corporeità, dell’impossibilità di separare corpo – mente. L’ascolto investe il corpo attraverso la coordinazione, l’ordine, il movimento creando emozioni. Le attività con i bambini sordi erano le stesse che mettevo e metto in atto con qualsiasi bambino. I bambini sordi, a contatto diretto con i suoni, incominciavano ad aprirsi al linguaggio verbale, in modo spontaneo. La risonanza non bastava. Utilizzavo gli oggetti sonori, quelli che avevo visto nei corsi Willems. Si tratta di oggetti sonori? Si tratta di strumenti musicali idiofoni adatti alle mani infantili.
L’intreccio si arricchiva sempre di più. Alle lezioni con i bambini, a Delémont, avevo visto l’utilizzo degli oggetti sonori per la discriminazione uditiva. Ora mi accorgevo che discriminare era soltanto una parte, una piccola parte delle possibilità da esplorare. Il percorso era molto più ampio e profondo. Ascoltare, per i bambini, non importa se udenti o sordi, normali o con handicap particolari, passa attraverso il manipolare questi strumentini sonori e colorati. Manipolare, guardare, scuotere, perfino portare alla bocca, confrontare, scegliere fra molti oggetti sonori è la modalità infantile per esplorare, cogliere, apprezzare, ricordare, memorizzare, riconoscere, imitare con la voce le differenze fra i timbri sonori. Gli strumenti idiofoni conducono verso la relazione originaria fra i timbri sonori ed il farsi del linguaggio verbale. Gli strumenti idiofoni conducono verso l’apprezzamento della relazione fra ontogenesi e filogenesi, fra suono articolato con la voce e segno scritto. Si apre la strada verso l’epistemologia della musica, la strada delle relazioni fra suoni, ritmi, movimento, nascita spontanea della parole, ordine, misura, numerazione.
Musicoterapia, arte della comunicazione
Edizioni Scientifiche Magi, Roma, 1996
Scuotere uno strumento idiofono implica un ritmo. In ogni nostro gesto, in ogni nostro respiro c’è un prima e un dopo.
Il prima e dopo è il ritmo.
L’esperienza del bambino, qualsiasi bambino, udente o sordo, con particolari difficoltà di comportamento, relazione, apprendimento ecc., passa attraverso la risonanza corporea (connessa con improvvisazione clinica al pianoforte, il modo diretto, creativo, immediato di dialogare con chiunque), la manipolazione, il guardare e, spontaneamente, far sentire la sua voce (suoni onomatopeici). In termini fenomenologici stiamo parlando di “essere nel mondo”, di “esserci”, e, attraverso l’improvvisare sulla misura di ogni situazione, di “epoké” (superamento del giudizio). Timbro, altezza, durata, intensità dei suoni, sono fusi in dialoghi musicali estemporanei che, nel tempo, conducono verso il movimento che si fa voce, parola, verso i passi che conducono alla misura, all’ordine del numero. Il non – verbale è origine del verbale. Il percepire (dal latino, per – capio, ossia prendo attraverso me stesso) passa attraverso il cinestesico (movimento), l’acustico (la risonanza corporea), l’uditivo, il visivo, la propriocezione (quello che avverto dentro di me), le emozioni, la condivisione. È un attraverso che attraversa la corporeità che non può essere considerata come somma delle parti ma il sistema dove ogni dettaglio, ogni gesto minimo rinvia al tutto (pars pro toto). Ogni attività umana accade nello spazio – tempo. Willems era lungimirante. Per lui era importante cogliere il valore dell’educazione musicale come formazione della persona senza lasciarsi troppo attrarre dall’andare verso la musica, in senso stretto.
RISVEGLIARE LA DINAMICITÀ DEL BAMBINO
Ricordo una delle frasi di Willems durante una delle sue conferenze a Delémont: “Il faut eveiller la dynamicité de l’enfant!”. Quale insegnante sarebbe d’accordo con questa indicazione? I bambini devono stare fermi nei loro banchi. Che cosa intendeva Willems con il termine dinamicità? Proviamo a pensare a quanto si parla, in questo momento storico, di ADHD (Attenction Deficit Hyperactivity Desorder), ADD (Attenction Deficit Desorder), LD (Learning Desorder). Un bambino affetto da questi disturbi, secondo la scienza, va trattato farmacologicamente. Negli USA ci sono studi che dimostrano i danni derivanti dall’assunzione continuata, a partire dall’età precoce, di psicofarmaci (peraltro dichiarati innocui).
Willems parlava dell’importanza di risvegliare la dinamicità dei bambini. Aveva ragione. Anche un bambino iperattivo va condotto, attraverso il suo modo di muoversi, verso la consapevolezza del suo movimento, dei suoi gesti, per riuscire a scoprire in che cosa consiste l’ascolto. È un percorso di natura educativo-terapeutica. È un bisogno in costante aumento nei bambini di queste generazioni. L’iperattività va condotta verso la sua origine, verso il suo essere vivacità, vitalità infantile.
Willems non si stancava di ritornare a: fisico/affettivo/mentale. Ritmo/fisico; Melodia/affettivo; Armonia/mentale. I suoi tracciati sulla lavagna sono ancora presenti nella mia memoria. In altre parole Willems raccomandava ai musicisti di accorgersi che quello che accadeva, sul piano della relazione interpersonale, attraverso il percorso dell’educazione all’ascolto. Il ritmo, pertanto l’utilizzo di strumenti a percussione, a partire dai legnetti sonori, è l’aspetto fisico, dinamico della musica. La melodia parla al mondo delle emozioni. La voce è, per sua natura, canto; l’aria inspirata si trasforma in voce. L’armonia è il prodotto dello studio dell’uomo. La storia della musica insegna che l’uomo arriva all’armonia attraverso la polifonia. Armonia e polifonia sono già presenti nei suoni armonici.
La lettura di Willems sui rapporti ritmo – melodia – armonia consente di guardare all’evoluzione dei modi di fare musica nei secoli in modo profondo.
Edgar Willems aveva le idee chiare sull’educazione musicale vivente che proponeva. Ascoltai in una conferenza, sempre a Delémont, come Willems rapportava le sue proposte di educazione musicale con gli altri metodi presenti nel mondo. Aveva le idee molto chiare sulla differenza fra educazione e addestramento. Era un uomo che, come si suole dire, sapeva dire: pane al pane e vino al vino. Nell’esprimere il suo pensiero sul palcoscenico, nelle sue conferenze, Willems era espressivo con tutto se stesso. La sua gestualità era intensa, comunicativa. Tutta la sua corporeità era in movimento con il senso delle frasi che esprimeva. Siamo lontani dall’immagine di un conferenziere seduto con un microfono in mano, che legge il suo testo scritto. Willems, mentre parlava, ascoltava la presenza dell’uditorio. Sapeva tenere il pubblico in mano, non concedeva attimi di distrazione, sapeva servirsi dell’ironia con intelligenza. Non stava fermo in un punto del palcoscenico, si spostava, camminava, guidava l’attenzione dell’uditorio. Sapeva collocare i termini tecnici con l’espressività dei suoi gesti, con l’intonazione della voce, con i momenti di silenzio, di attesa, i momenti necessari al pubblico per comprendere il senso di una frase. Pur essendo belga fiammingo aveva studiato la lingua francese che utilizzava con la calma e la precisione di chi è consapevole di esprimersi in un’altra lingua. In una conferenza spiegò il senso della presa di coscienza per le attività educative, attraverso se stesso, impegnato ad esprimersi in una seconda lingua, non nella sua lingua madre. Verbale e non – verbale, in Willems, erano una cosa sola. Educare non è addestrare. Vogliamo capirne il senso? Guardiamo a questi due modi di rappresentare la stessa cosa.
Socrate ci parla dei contrari: bene / male, bello / brutto, alto / basso, veloce /lento ecc…
La durata dei suoni pone a confronto lungo e breve. I primi che utilizzano questi termini, per quanto ci è dato di sapere, sono i Greci. Come far vivere ai bambini le differenze fra i suoni, a partire da quelli che si possono ascoltare in natura? Willems è stato molto chiaro al proposito. Chi non conosce, non vuole conoscere o crede di conoscere l’opera di Willems, continua a ricorrere alle partiture alternative e a confondere il timbro del suono con la durata del suono. Chi non conosce l’opera di Willems crede di poter spiegare i rapporti di durata fra i suoni, con le parole.
I due esempi riportati possono essere esplicativi per chi vuole entrare nel merito del percepire il concetto di durata di un suono ed il concetto di rapporti di durate. Quando ci rivolgiamo ai bambini dovremmo ricordare che percepire è un gesto complesso che investe gli organi di senso (sinestesia), la propriocezione, la cinestesia (apprendere attraverso il movimento). Ciò che vedo dovrebbe coincidere con quello che sento, che ascolto, che faccio. La comprensione della durata (come accade in natura) e dei rapporti di durata fra i suoni (come accade nella musica), conduce verso l’apprezzamento della differenza fra educare e addestrare.
Willems riconosceva il valore educativo nelle proposte di Maria Montessori, delle sorelle Agazzi, nutriva una grande stima per Laura Bassi e riconosceva un maestro in Dalcroze. Vedeva in questi pedagogisti le finalità educative, ossia il prendersi cura dei bambini per farli crescere e maturare interiormente, attraverso la pratica musicale.
Nei confronti di Orff, Kodaly, Suzuki vedeva musicisti impegnati nell’insegnare la musica ai bambini.
Ci troviamo di fronte a due modi differenti di guardare alla musica in relazione all’infanzia.
Willems non voleva che la sua opera diventasse un metodo. Lo disse chiaramente: “Vuoi il metodo? Eccoti i libri. Vuoi l’educazione musicale? Lavoriamo insieme”. Era un uomo dal carattere forte, convinto delle sue scelte, non disposto a compromessi.
In Italia Willems ha trovato poco ascolto. La stragrande maggioranza dei professori di musica ha scelto di insegnare le durate dei suoni con i “Ta, ta, ti, ti ,ti … “ di Kodaly. Riporto questo esempio per far comprendere l’intelligenza pedagogica di Willems. Entrare nel mondo dei rapporti di durata fra i suoni è uno studio che impegna i teorici della musica per circa ottocento anni (chi è incredulo vada a verificare la storia della musica su testi attendibili). Abbiamo i segni ritmici precisi sulle partiture circa nel periodo di Antonio Vivaldi. Ottocento anni sono sufficienti a indicare che comprendere i rapporti di durata fra i suoni non è un semplice meccanismo ma consiste nel saper frazionare il tempo che passa in parti uguali. Per compiere questi passi occorre pensare e impegnarsi in profondità. Per fare memorizzare ai bambini “Ta, ta, ti, ti ,ti …”basta ben poco.
Lo stesso problema si affaccia per condurre i bambini alla lettura dell’altezza dei suoni. Il flauto a coulisse viene generalmente vissuto come un gioco. Ma il gioco è molto più serio di quello che si possa pensare. Riporto le parole di Guido d’Arezzo: “Se vuoi incorporarti nella memoria i movimenti di ascesa e discesa del suono della voce”. Oggi non si rifiuta più di pensare che il corpo ha le sue memorie, che la voce si forma nel corpo, che le emozioni modificano l’intonazione della voce. Willems lo aveva capito. Willems aveva applicato il principio della denominazione dei segni scritti e l’intonazione degli intervalli, già utilizzato da Guido d’Arezzo con l’inno di S. Giovanni, nel proporre le canzoni sugli intervalli.
L’intuizione geniale di Guido d’Arezzo, consistente nel dare un nome ad ogni segno scritto che rappresenta l’altezza dei suoni, ossia i di movimenti di ascesa e discesa nelle cavità risonanti corporee, viene ancor più valorizzata dalle conoscenze delle neuroscienze. I processi di imitazione dei suoni ascoltati, della riproduzione, della scrittura, sono connessi tra loro. I neuroni mirror sembrano essere alla base alla base di queste connessioni. Il principio utilizzato da Willems, con le canzoni sugli intervalli, favorisce il percorso naturale per lo sviluppo dell’orecchio armonico in ogni bambino. I neuroni mirror (o neuroni a specchio), sembrerebbero i responsabili dell’abilità umana di imitare. Il principio dell’imitazione è il primo dei principi sui quali si fonda il fare musica, a partire dalla notte dei tempi. (Giulia Cremaschi Trovesi “Leggere, scrivere, far di conto” Superare i problemi di apprendimento con la musica. Armandoeditore, Roma 1007)
Il Movimento
Willems ci ha lasciato i suoi brani dedicati al movimento con i bambini. Passi, saltelli, corse sono fondamentali nel gioco infantile. Attraverso una pratica musicale che pone in relazione suoni – ritmi – movimento – frasi musicali – armonia, i bambini mettono in atto ed evolvono le loro abilità naturali. Nel caso in cui, come accade con bambini affetti da PCI (paralisi cerebrale infantile, anche in casi di bambini con nascita gravemente prematura, di plurihandicap), la relazione suoni – ritmi – movimento, attraverso l’improvvisazione al pianoforte e la risonanza corporea, viene favorita in modo sorprendente. La risonanza corporea conduce verso un rilassamento spontaneo nei bambini con PCI (anche con plurihandicap). Il rilassamento è la condizione per l’ascolto che, come conseguenza, favorisce il farsi di movimenti nuovi, intenzionali.
Gli studi in musicoterapia umanistica dimostrano che Willems ha avuto ragione su un punto fondante dell’educazione musicale.
“Il suono è dentro all’uomo, prima che attorno all’uomo!”
Il suono è dentro all’uomo nel modo più naturale che si possa pensare. Il grembo materno è la Prima Orchestra. La Terra è la grande orchestra. L’ordine ritmico è l’esercizio di ogni attimo di vita prima di nascere. Nel rapporto musica – bambini, non importa se si tratta di musicoterapia o di educazione musicale, possiamo condurre i bambini a ritrovare un ordine già conosciuto. Traumi, lesioni, sindromi, ambienti socio-culturali disagiati o altro ancora possono creare delle interferenze. Attraverso l’improvvisazione e la risonanza corporea è possibile che il bambino ritrovi questo ordine. Questo vale anche per i bambini iperattivi, disturbati nel comportamento, nell’apprendimento, nella relazione, perfino con i bambini autistici. Il suono è la relazione per eccellenza.
Edgar Willems era profondamente intuitivo. La sua conferenza sulla priorità della musica sulle altre arti mette in luce che il termine priorità non indica qualcosa di più importante bensì qualcosa che arriva prima. La musica ha questa priorità perché è la trama che intesse la vita ancor prima della nascita.
È arduo, per i professori di musica, accettare questo perché troppo spesso sono attaccati ai loro studi, al considerare la musica come arte separata dalle altre arti, come linguaggio diverso dagli altri linguaggi. Nella sua conferenza Willems proseguì nell’esposizione del tema sulle arti, in modo logico e consequenziale. La voce, i suoni, i ritmi sono all’origine del movimento. Suoni, ritmi e movimento non possono essere separati. Suono e movimento procedono insieme. Senza musica non nasce la danza. Senza il movimento non sorgono i gesti della pittura e delle arti figurative in generale. Senza ritmo non si giunge alla misura, al costruire. Senza il respiro non ci può essere la voce, non potrebbe nascere la parola e, con essa, le arti narrative, poetiche, liriche, drammatiche, il teatro.
“…il suono è generato dal movimento giacché esso appartiene alla categoria delle cose che si realizzano in successione di tempo”. “…non esiste successione senza movimento. “…il tempo è la misura del suono….il tempo è anche misura del movimento” (Filippo da Vitry “Ars nova notandi” sec. XXIII).
Queste citazioni dimostrano che tutto è già in noi. Non esiste luogo senza la presenza di onde sonore, sulla faccia della terra. Senza la presenza di onde sonore saremmo privi di informazioni, della vita stessa.
Willems insisteva sui livelli di comprensione: fisico, affettivo, mentale. In altre parole ci troviamo di fronte ad uno sperimentare, alle emozioni che ne scaturiscono, ad un processo di presa di coscienza, apprendimento, astrazione.
Saper comprendere in che cosa consiste la distinzione fra addestramento e educazione vuol dire cogliere il valore di una frase sulla quale Willems ha a lungo insistito durante una delle sue conferenze: “Nulla di più assoluto del relativo”. Proviamo a pensare in che cosa consiste condurre i bambini a comprendere il senso dei rapporti di durata fra i suoni o l’impartire loro è “Ta, ta, ti, ti ,ti …”. Nel primo caso l’insegnante – educatore accompagna ogni bambino a vivere l’esperienza del confronto fra durate diverse utilizzando strumenti a percussione, i giochi di movimento, rispettando e favorendo i suoi tempi di maturazione; nel secondo caso non c’è proprio niente da capire, basta ripetere a memoria. La scuola procede attraverso i riflessi condizionati (addestramento) anche con le altre materie di studio. Chi ne soffre di più, forse, è la matematica. Non si tratta di un esempio fatto da me; l’esempio è stato fatto da Willems che, come ho già detto, vedeva lungo ed operava in profondità.
Articolo pubblicato sul sito www.cedim.org