Paola Beltrami: L’Arpa terapia e la Musicoterapia Umanistica
Musica e Mente: il magazine italiano di Musicoterapia
Intervista a Paola Beltrami in occasione dell’uscita del suo libro ARPA TERAPIA-Suoni che curano l’anima
Paola Beltrami è un’arpista e musicoterapeuta, è socio fondatore della F.I.M la Federazione Italiana Musicoterapeuti e formatore in Musicoterapia Umanistica.
Ha all’attivo diverse pubblicazioni e ha presentato la sua esperienza in musicoterapia a convegni e congressi nazionali e internazionali. Svolge tutt’ora un’assidua attività come educatore musicale negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia e conduce corsi di formazione per genitori e insegnanti. Ha pubblicato recentemente “Arpa terapia. Suoni che curano l’anima” casa editrice You can print, l’abbiamo invitata per parlarci di questa sua ultima opera.
Dott.ssa benvenuta fra le pagine di Musica e Mente, iniziamo con la prima domanda:
Che differenza c’è tra la musicoterapia e l’arpa terapia?
L’arpa terapia nasce dalla musicoterapia, ma ha assunto una propria fisionomia sia per le caratteristiche fisico-acustiche del suono dell’arpa, sia per i tempi e i modi di applicazione in ambito terapeutico.
In particolare la musicoterapia utilizza un’ampia varietà di strumenti musicali ed è finalizzata al cambiamento del comportamento della persona, l’arpa terapia porta suoni lenitivi, confortanti, al capezzale della persona malata. È un “qui ed ora” in cui si crea una “Culla del suono” che agisce sul respiro, sul dolore, sul malessere dell’individuo e li trasforma. L’obiettivo principale riguarda prevalentemente la sfera emotiva che si manifesta nella fisiologia della persona. L’intervento non è continuativo come quello della musicoterapia e il beneficio che si ottiene dipende dalla qualità particolare del timbro del suono.
Un’altra differenza consiste nel fatto che la musicoterapia prevede quasi sempre un coinvolgimento attivo della persona, mentre l’arpa terapia è per lo più recettiva. La musica improvvisata al momento o presa da repertori ad hoc, è suonata in modo da creare un clima di ascolto e raccoglimento in cui la persona si sente accolta e lascia andare le sue tensioni, il suo dolore.
Che cos’è la Musicoterapia Umanistica?
La Musicoterapia Umanistica è “Arte della comunicazione”. Con la legge 4/13 sulle nuove professioni è entrata a far parte delle Arti Terapie (musicoterapia, danza-movimento terapia, arte terapia, dramma terapia e teatro terapia). La Norma UNI 11592 stabilisce i requisiti di abilità, conoscenza e competenza per ottenere la Certificazione, fiore all’occhiello del professionista.
La Musicoterapia Umanistica è nata più di 40 anni fa dalle intuizioni e dalle esperienze della prof.ssa Giulia Cremaschi Trovesi che nel tempo ha fatto conoscere i risultati che otteneva con bambini con gravi disabilità (sordità, autismo, cecità, prematurità, paralisi cerebrali infantili, sindromi genetiche) e ha creato la Federazione Italiana Musicoterapeuti (FIM) – di cui anch’io sono socio fondatore – i cui scopi sono la valorizzazione e la divulgazione del modello teorico della Musicoterapia Umanistica da lei elaborato, la formazione e l’aggiornamento del musicoterapeuta; l’individuazione e lo studio degli aspetti culturali, artistici, pedagogici e scientifici che concorrono alla formazione personale e professionale del musicoterapeuta.
Obiettivi della Musicoterapia Umanistica sono migliorare la vita di relazione, favorire la comunicazione verbale e non verbale, suscitare il desiderio di muoversi e di farlo in modo ordinato, sollecitare la socialità, l’espressione delle proprie emozioni, il potenziamento delle capacità cognitive, e non da ultimo sostenere l’autostima del bambino o ragazzo perché attivi in sé stesso gli strumenti necessari al superamento delle difficoltà di apprendimento.
Il nostro lavoro si fonda essenzialmente sull’improvvisazione comunicativa al pianoforte a coda, ma non tutte le musicoterapie operano in questo modo. Anzi. Vi sono quelle basate sull’ascolto di brani musicali, o quelle che prediligono strumenti a percussione. Molto dipende dalla formazione musicale del terapista.
Nel suo lavoro come concepisce il concetto di cura e di prendersi cura?
Bella domanda, per niente banale, dal momento che musicoterapia e arpa terapia sono discipline artistiche e non mediche. Andiamo alla radice della parola e del concetto che in essa è racchiusa. Cura deriva dalla radice latina ku-/kav- che significa osservare. In sanscrito kavi vuol dire saggio. Una prima interpretazione etimologica faceva derivare curare da cor urat, cioè “scalda il cuore”.
Comunque la interpretiamo, il termine curare racchiude in sé la saggezza di chi osserva ed ha a cuore l’altro. Come avviene questo con la musicoterapia? O l’arpa terapia?
Pensiamo alla musica in un duplice modo: come onde sonore e come prodotto artistico finito. Seduto sopra il coperchio del pianoforte a coda o ai piedi dell’arpa, in contatto con la sua cassa di risonanza, il bambino, il ragazzo, l’adulto o l’anziano (a seconda dei casi) è immerso in una molteplicità di onde sonore che avvolgono, accarezzano, cullano la persona raggiungendo il suo corpo e facendolo convibrare. Non è una musica registrata o casuale. Sono suoni ritmi, melodie, armonie create di momento in momento leggendo la postura, il tono corporeo, il ritmo respiratorio, la mimica, la gestualità. La persona è come una partitura vivente che il musicoterapeuta o arpa terapista interpreta musicalmente. Questo genera nel paziente un riconoscimento di sé quasi immediato, si sente ascoltato, accolto, valorizzato. Le emozioni che nascono dal gioco musicale sono spesso emozioni positive di gioia, ma anche quando emerge rabbia, frustrazione, dolore, paura, l’improvvisazione musicale ad hoc le trasforma aiutando la persona a rielaborare i momenti negativi e a trasformarli in nuove esperienze di vita.
L’arte dei suoni, o meglio l’arte di creare suoni e musica e donarli all’altro in un dialogo che si rinnova continuamente, sono una cura molto efficace. Non si tratta semplicemente di imitare la persona come nel gioco dello specchio, ma di ridare in un altro modo alla persona ciò che essa sente per farla sentire compresa, accolta e direi anche amata. E la musica deve essere bella, perché, non dimentichiamolo, tutti siamo amanti del bello inteso come valore, come armonia, come equilibrio. Per questo è importante saper suonare e improvvisare molto bene e sapersi destreggiare con più strumenti musicali.
Spesso il percorso di musicoterapia dura anni. È un dono grande accompagnare le famiglie nel percorso di crescita dei loro figli. Avere cura significa saper affiancare nel bisogno, esserci nei momenti critici senza mai sostituirsi, ma anche senza lasciare le persone da sole nel loro dolore o nelle loro crisi. È dar voce ai più deboli quando il dolore di una diagnosi toglie le energie per rivendicare anche solo i propri diritti. Talvolta prendersi cura è anche solo semplicemente sedersi allo strumento e suonare e lasciar “parlare” la musica, perché certe cose, certe emozioni non si possono condividere a parole, ma si possono portare insieme aggrappati alla bellezza e alla forza della musica.
Nel suo libro parla di come non sia importante quanto si suoni o cosa, bensì ha molta più rilevanza come si suona, vorrei chiederle allora quanto è importante l’aspetto empatico e fin dove ci si “deve” o ci si può spingere con la risonanza emotiva.
Risonanza è un termine musicale, preso in prestito dalla psicologia per spiegare quella particolare capacità del terapeuta di entrare in relazione con il proprio paziente.
Non c’è musica senza risonanza, non c’è ascolto senza risonanza, e oserei dire, non c’è vita senza risonanza. Vediamo perché. La risonanza è la partecipazione, da parte di un sistema atto a vibrare, al moto vibratorio di un altro sistema. Una corda tesa tra due chiodi piantati su un muro o su una semplice tavoletta di legno, vibra, ma non quella vibrazione non è quasi udibile. Se la stessa corda è tesa su una cassa armonica di un’arpa, un pianoforte, una chitarra, un violoncello …. l ’effetto sonoro che si ottiene è decisamente migliore in qualità e maggiore in intensità. Questo avviene perché la cassa armonica dello strumento viene fatta oscillare dalla vibrazione della corda amplificandone il suono. Ecco spiegata la risonanza. Ma non è tutto. I suoni gravi producono onde sonore più lunghe di quelli acuti. Per questo risuonano in corpi elastici di volume grande, mentre i suoni acuti risuonano in corpi elastici più piccoli. Ecco allora che capiamo perché la mucca produce un muggito grave e gli uccellini cinguettano con trilli acuti. Pensiamo agli strumenti musicali. Il violino produce suoni più acuti di un contrabbasso, il quale per il volume della sua cassa di risonanza, emette suoni gravi e profondi che fanno tremare il pavimento. Anche la forma della cassa di risonanza dell’arpa rispetta il principio fisico della risonanza: è ampia e larga in basso dove sono agganciate le corde lunghe e spesse che producono suoni gravi, e si assottiglia e restringe verso l’alto, dove le corde sono più sottili e corte e il suono è acuto.
Il corpo umano è un grande risonatore, o meglio è una sovrapposizione di risonatori. Tutto il corpo è coinvolto nell’ascolto e nella produzione dei suoni con la voce. Il timpano dell’orecchio percepisce le frequenze acute e gli armonici dei suoni più gravi che passano sempre e comunque attraverso il corpo, anche quando non ce ne accorgiamo.
Stando seduti o sdraiati sulla tavola armonica del pianoforte o presso quella di un’arpa, si ritorna a percepire consapevolmente con tutto il corpo. Quella che noi chiamiamo “Risonanza corporea” è il convibrare del corpo con la musica improvvisata allo strumento. È qui che entra in gioco la risonanza emotiva del terapeuta. Con quale atteggiamento mi avvicino alla persona e suono con lei, per lei?
Posso avere una condotta di tipo medico, del tipo “so io quello di cui tu hai bisogno”, oppure “questa è la cura, la musica che ti fa bene” e in questo modo calarmi dall’alto sapendo già cosa fare e come farlo. Posso avere un atteggiamento preoccupato per il mio paziente, per cui mi butto a capofitto nel suo dolore, nei suoi problemi e mi ci identifico al punto da farli miei, al punto che mi sento sopraffatto.
Posso entrare in risonanza con la persona mettendo in atto l’attenzione inclusiva che è l’arte di essere attenti al paziente e di modificare la musica per adattarsi alle sue condizioni mentali, emotivo, fisico e/o spirituali. È uno stato meditativo in cui siamo consapevoli della nostra esperienza somatica, emotiva e cognitiva ed espandiamo questa consapevolezza per includere un’altra persona. In sintesi è l’arte di essere attenti al paziente e chiedere: “Cosa sto incontrando qui? Cosa sto osservando? Come devo rispondere?”. Molti massaggiatori e guaritori usano questo principio. I tre gradini di attenzione inclusiva sono: la consapevolezza, l’intuizione e la risposta musicale. L’attenzione inclusiva si sviluppa nel tempo e richiede prontezza di riflessi e una grande capacità intuitiva. Non si tratta solo, a mio avviso, nel sapere cogliere quale cambiamento di tempo, di ritmo, di armonia, di tonalità o di andamento è necessario per mantenersi in ascolto del paziente. A volte mi capita di presagire o di captare intenzioni e bisogni quasi inespressi che lasciano a bocca aperta sia i genitori che i bambini stessi. E, devo dire, che molto raramente mi sbaglio. Così ho imparato ad affinare questa attenzione e il mio intuito, fidandomi di ciò che sento ed esprimendolo a costo di andare contro corrente.
Quanto è importante il silenzio in musicoterapia?
In natura non esiste il silenzio assoluto. Il nostro corpo non conosce il silenzio, perché il battito cardiaco, il flusso del sangue, il respiro, i visceri sono continuamente in movimento. Quello che chiamiamo silenzio è assenza relativa di suono, è quiete. ll nostro corpo conosce il silenzio solo con la morte. Prima, dal concepimento in poi, è sempre in movimento, anche quando riposa, e dove c’è movimento c’è suono, perché il suono è la relazione tra un corpo che produce vibrazioni (movimento di onde sonore) e uno capace di riceverli come sensazione uditiva.
L’embrione prima e il feto poi cresce nel grembo materno, prima orchestra, e attraverso le onde di pressione del liquido amniotico, è cullato, dondolato, coccolato dalla voce materna e da tutti i rumori interni del suo corpo. Tutte le culture addormano e calmano i neonati con le ninne nanne il cui ritmo mette insieme l’andamento binario dei passi materni con quello ternario del battito cardiaco. Con la nascita il bambino farà esperienza della forza di gravità, sconosciuta nella pancia della mamma, e del silenzio, perché verrà meno quel continuo sottofondo musicale che lo ha accompagnato nei nove mesi precedenti.
Oggi viviamo in una società rumorosa. Ci siamo riempiti di rumori/suoni di fondo che ci fanno compagnia mentre facciamo la spesa, mentre studiamo, mentre giochiamo, mentre mangiamo….
Molti bambini ritardano l’apprendimento del linguaggio a causa della mancanza di pulizia sonora ambientale. Una televisione o una radio sempre accesa non permettono al piccolo di discriminare con chiarezza il suono delle parole collegandole ai movimenti della bocca della mamma e del papà.
Spesso ci riempiamo di musica per non stare in ascolto di noi stessi. Arriviamo così alla musicoterapia. Il silenzio è fondamentale in musicoterapia. Fin dal primo approccio la musicoterapeuta suona osservando il bambino e lo osserva suonando. Non è un gioco di parole. Ogni reazione, anche minuscola, è di vitale importanza. Per questo alterna l’improvvisazione musicale e il dialogo sonoro a momenti di silenzio. Cosa accade?
Il bambino continua a suonare i suoi legnetti (o maracas, campanelli, ecc.), imperterrito. Non sta ascoltando.
Il bambino continua a suonare, ma lo fa più forte e più veloce, come per dire “dai ricominciamo, non smettere di suonare che mi piace”.
Il bambino continua a suonare, ma muove un sopracciglio, oppure gira appena lo sguardo, sospira, sorride. Reazioni minime, che solo un occhio ben allenato riesce a cogliere…. Ecco il bambino sta ascoltando, ma non lo fa vedere.
Il bambino si ferma, sorpreso, e lascia cadere gli strumenti che ha in mano, o li restituisce. È il bambino abituato a fare prestazioni. Finita la musica, pensa di aver finito il compito.
E poi c’è il bimbo che si ferma, trattiene quasi il respiro, ti guarda e aspetta la ripresa del suono, o è lui stesso a riprendere a suonare. È il bambino che sa ascoltare, che ha imparato ad ascoltare, intendendo l’ascolto come l’atteggiamento consapevole di chi si pone in relazione con l’altro, accogliendolo.
Con il silenzio la musicoterapeuta “verifica” a che punto è il bambino e lo dosa per allungare i suoi di attenzione, per destare curiosità, sorpresa, interesse, per rinnovare il dialogo sonoro.
C’è poi un silenzio che è attesa della risposta del bambino. È il mettersi in ascolto e saper aspettare un cenno da parte sua. Ci vuole molta forza interiore per non sostituirsi, per non avere fretta di reazioni, di proposte. Saper attendere che il bambino elabori la sua risposta o la sua proposta, porga uno sguardo per dire “ancora”, emetta un suono con la voce, in poche parole, smetta di essere oggetto di cure e cominci ad essere soggetto attivo, partecipe e consapevole.
Data la sua lunga esperienza e autorevolezza, come si spiega il fatto che la musica raggiunge anche i pazienti con le più gravi disabilità, quando “ragionevolmente” si è portati a pensare che alcuni soggetti, per la loro condizione, sembrano avulsi dalla realtà?
In parte ho già risposto. La musica è per tutti perché la musica è dentro l’uomo. Nel grembo materno tutti abbiamo sperimentato quella prima orchestra che ci ha plasmato. Dopo la nascita il percorso di conoscenza si snoda innanzitutto come un riconoscere quanto già sperimentato prima della nascita. Ogni essere umano è unico e irripetibile e compie per la prima volta il cammino della sua crescita. Si nasce con una patologia, la disabilità è la conseguenza derivante dalla patologia con tutte le limitazioni che questa comporta, mentre per handicap si intende la condizione di svantaggio, conseguente ad una menomazione o ad una disabilità, che in un certo soggetto limita o impedisce la socializzazione.
La Musicoterapia Umanistica opera con il linguaggio dell’arte musicale per risvegliare e valorizzare il bambino laddove la diagnosi e la riabilitazione tradizionale vedono una persona “da aggiustare”.
Non abbiamo protocolli da seguire perché ogni persona è unica, ma abbiamo tra le mani i suoni e attraverso la loro combinazione sapiente unita alla risonanza corporea facciamo emergere il desiderio di mettersi in gioco, di lasciarsi avvicinare, di farsi coinvolgere, di aprirsi al nuovo.
I più affamati di suoni e di musica sono i bambini audiolesi che riescono a raggiungere risultati incredibili quando cominciano ad ascoltare sfruttando così in pieno il potenziale delle protesi acustiche. Sono bambini che cantano con voce intonata, suonano il flauto dolce, il pianoforte, parlano con voce bella, sonora, con le inflessioni dialettali.
I piccoli con autismo si lasciano lentamente andare perché il suono li raggiunge attraverso la risonanza corporea, li emoziona, li seduce, direi, e pian piano scoprono che possono aprirsi, lasciarsi andare. Spesso hanno un talento musicale raro, che rischia di rimanere sepolto se non sono valorizzati nel modo adeguato.
I bambini con paralisi cerebrale regolano il tono muscolare grazie al massaggio sonoro che li penetra ed avvolge. Così riescono a rilassarsi profondamente o ad attivarsi conquistando le varie posture fino alla deambulazione (laddove è possibile), o alla manipolazione fine mettendo in atto la coordinazione occhio-mano.
I piccoli con sindromi genetiche trovano un ambiente ricco di stimoli per attivarsi, allungare i tempi di attenzione, sviluppare la memoria, favorire il proprio sviluppo psicomotorio.
Ai bambini prematuri la musicoterapia umanistica dona serenità e capacità di superare i traumi legati alla lunga ospedalizzazione e separazione della mamma. I suoni cullano, accarezzano e ricreano la sicurezza sperimentata prima della nascita. Non si tratta di regressione, ma di un vero trampolino in cui poter trovare forza ed energia per far affrontare con serenità la vita per come ora si presenta loro.
Per tutti poi la musicoterapia umanistica offre un’importante sollecitazione allo sviluppo del linguaggio verbale, perché la parola è suono.
Non c’è parola senza ascolto, senza relazione. E la musica è relazione. Purtroppo non è questa la sede per approfondire questo tema che richiede uno spazio più ampio.
Di cosa parla il suo libro?
Rispondo a pelle, con il cuore. Il libro parla di musica e di guarigione, la mia guarigione e quella di tanti bambini e ragazzi che ho incontrati in trent’anni di musicoterapia prime e arpa terapia poi.
È un libro scritto in quindici giorni. Volevo preparare il testo per un video sull’arpa terapia. Ho cominciato a scrivere e non ho più smesso. Presto mi sono resa conto di aver messo nero su bianco uno dei primi libri sull’arpa terapia in lingua italiana. Così ho pensato di pubblicarlo.
È un testo scorrevole, comprensibile da tutti, anche dai non musicisti. È un libro ricco di vita vissuta, di aneddoti, di racconti delle mie esperienze in musicoterapia e arpa terapia. Ma è anche una sorta di diario segreto a cui ho regalato le mie emozioni e i miei vissuti più dolorosi rispetto al rapporto conflittuale con la mia arpa. Il mio percorso di studi fu infatti interrotto da gravi problemi di salute dovuti ad una impostazione non corretta allo strumento. Ho sofferto e pianto tanto di rabbia e di dolore, ma l’amore per la musica e la forza di volontà (oltre che la vicinanza della mia famiglia), mi hanno permesso di risorgere. In questo senso sono molte le persone che possono in qualche modo identificarsi nel mio vissuto e trarne spunto per reagire.
Il libro poi descrive cos’è l’arpa terapia, quali sono i suoi principi teorici e gli ambiti di applicazione.
Gli amanti delle terapie naturali troveranno pane per i loro denti, i musicisti vi leggeranno nozioni fisica acustica pratica (sempre in linguaggio accessibile a tutti), i medici o i terapisti scopriranno nuove forme di benessere e di guarigione legate al potere del suono, gli educatori scorgeranno tra le righe molti spunti per il loro lavoro.
Un’ultima nota, se mi è possibile. Il libro è dedicato a mio marito Davide che ha creduto in me e nella mia musica dandomi la forza e la gioia di ricominciare a suonare la mia arpa e senza del quale non sarei quella che sono.
Per maggiori info:
https://www.facebook.com/Musicoterapia&Arpaterapia