FRA SUONI, MUSICA E PAROLE

Autore: Giulia Cremaschi Trovesi

A partire da una bambina sorda…la questione della Lingua Parlata

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Da che parte si può incominciare?
Incomincio dal porre delle domande. 
Quale è il Linguaggio spontaneo per un bambino sordo? 
La lingua parlata o la lingua dei segni? 
Possiamo tentare di rispondere in modi differenti:
– per i sostenitori dell’oralismo è la lingua parlata,
– per i sostenitori della lingua dei segni è la lingua dei segni.

Per i diretti interessati?

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Non possono rispondere perché, come nell’esempio che riporto, la bambina è troppo piccola per poter conoscere e decidere ciò che va meglio per lei. 
I sordi adulti si schierano dalla parte del modo con il quale sono stati cresciuti.

La questione è ancora più grande se entriamo nei meandri teorici. 
– Per i sostenitori dell’oralismo la Parola è un codice che si impara a memoria. 
– Per i sostenitori della gestualità i Gesti sono codici che si imparano a memoria. 
Basta uno sguardo per comprendere che oralismo e gestualità intendono l’essere umano come colui che impara attraverso la ripetizione dell’esempio dato dal tecnico della rieducazione.

Esiste un’altra strada?

Per tracciare questo percorso chiedo la collaborazione di una bambina di cinque anni. 
La chiamo Silvia. 
Entra nel mio studio con i genitori e con la dott.ssa Simona Ghezzi che, da qualche mese, la segue in musicoterapia. 
Come può essere una bambina di cinque anni? E’ una bambina vivace e curiosa. Il suo sguardo corre nello studio attirato dagli strumenti musicali e dai materiali (si tratta di giochi colorati che suonano) raccolti in numerosi cesti di vimini. 
Che cosa dice il non-verbale della bambina? Parla della voglia di provare un po’ di tutto senza essere disturbata dai grandi. 
Posso permettere questo? 
Posso permettere alla bambina di scegliere. L’utilizzo dei materiali, il giocare accade fra di noi.

La mamma mi accenna agli eventi più importanti della vita di questa loro seconda figlia. La sordità è stata diagnosticata poco prima dei due anni. La bambina era molto comunicativa; per questo motivo c’è voluto del tempo per accorgersi che il linguaggio verbale non si evolveva. In breve tempo è stata data la diagnosi di sordità profonda e sono stati applicati gli apparecchi acustici retroauricolari. Inizia il percorso della logopedia presso un centro pubblico. 
I genitori cercano su Internet le informazioni di cui hanno bisogno. La mamma trova anche la voce “musicoterapia”. Vorrebbe saperne di più. La logopedista le risponde che un bambino sordo con apparecchi acustici può utilizzare la musica come gli altri bambini. 
Nel volgere dei due anni successivi, la bambina ha iniziato un progressivo processo di chiusura nei confronti della vita. 
“La bambina stava diventando autistica”…sono le parole dette dalla mamma. 
I genitori, ormai in grande preoccupazione ed ansia, hanno trovato come unica soluzione, l’impianto cocleare.

Dopo che la bambina è stata sottoposta all’intervento chirurgico per l’introduzione dell’impianto cocleare i genitori si sono rivolti ad una logopedista privata e, contemporaneamente hanno voluto che la bambina fosse seguita in musicoterapia, dalla dott.ssa Simona Ghezzi.

“L’impianto cocleare non cambia niente. Ormai la situazione è veramente difficile; non si può tornare indietro”…sono parole del papà.

“La bambina non guarda le persone, non risponde a niente, non comunica. Non sappiamo più che cosa fare. La logopedista le fa tenere l’impianto cocleare da una parte e l’apparecchio acustico sull’altro orecchio. Quando la bambina è stesa sul pianoforte si toglie l’impianto” …sono parole della mamma.

La bambina sta manifestando qualcosa di suo. Ascoltando attraverso la corporeità (il Corpo Vibrante) prende la sua decisione.

Non devo stancarmi di ripetere che la ricezione delle onde sonore (sentire…udire…ascoltare) passa attraverso tutto il corpo, secondo le proporzioni dei risuonatori corporei (tutto il corpo è un risuonatore) dei suoni armonici (Il timbro sonoro è dato dai suoni fondamentali e dai suoni armonici).
Il suono è un fenomeno complesso – complessa è la sua ricezione.

In quale relazione avviene lo stimolo elettrico prodotto dall’impianto cocleare sul nervo acustico con la risonanza corporea?

Nessuno risponde a questa domanda. E’ una domanda che non ci si pone.

Silvia, a contatto corporeo diretto della cassa armonica del pianoforte a coda, si spegne l’impianto.

Che cosa avverte “dentro” di lei? 
Che cosa ci comunica?

Rimane in ascolto, stesa in posizione prona, rilassata, con le braccia aperte, la testa appoggiata, il respiro regolare, disteso.

Che cosa suona il musicoterapeuta in questi momenti?

Si parla di improvvisazione clinica al pianoforte. Il musicoterapeuta osserva la corporeità della persona mentre suona. Il corpo è una “partitura musicale vivente”. Improvvisare vuol dire scegliere i registri musicali (il pianoforte comprende una gamma molto estesa, dagli Hz 27,50 fino agli Hz 4184. I valori sono riferiti alle frequenze fondamentali. La gamma si arricchisce con le formanti armoniche fino oltre i 20.000Hz). Improvvisare vuol dire giocare con i contrasti fra gli accenti, scegliere i ritmi, gli accordi, i giochi melodici. La scelta avviene attraverso la lettura della “partitura vivente”.
Silvia è in ascolto con tutta se stessa. Attraverso la risonanza corporea ritrova l’accoglienza conosciuta nel grembo materno, la Prima Orchestra. Ritrova l’accoglienza, piuttosto che essere sottoposta alla richiesta di prestazioni. Rimane a lungo in ascolto. La mamma trova la cosa molto strana perché è una bambina vivace, come siamo soliti dire “non sta mai ferma”.

Nell’incontro che si è svolto nel mio studio, mentre la bambina è stesa in ascolto, Simona attua con lei quello che abbiamo chiamato “Relazione Circolare nella Tangibilità”.

La Relazione Circolare è una situazione nella quale sono presenti: i genitori, la bambina, il musicoterapeuta e un altro professionista che opera con lei. In questo momento siamo io e Simona. I genitori condividono le emozioni, condividono gli eventi.

Tangibilità, dal verbo latino “Tango-is – Tetigi –Tactum – Tangere” . Il riferimento alla lingua latina è doveroso. In italiano diciamo Toccare. Non è proprio la stessa cosa. TacTum, con la presenza delle due “t” specifica che Toccare è, nel contempo, Essere Toccato (vale anche il contrario: se Tocco, una persona o un oggetto, sono Toccato dalla persona o dall’oggetto). TANGO, esattamente come per la danza (il tango argentino), implica l’intenzionalità del toccare. In questo caso l’intenzionalità consiste nel non lasciare una bambina sola e nell’avvicinarsi a lei con garbo, chiedendole il permesso.

La mamma ha già colto nei rifiuti della figlia atteggiamenti che essa stessa ha individuato di tipo autistico. La mamma ha colto nel segno. Non esistono indagini sul fatto che un bambino sordo è a rischio di psicosi e di autismo se non riesce a sentirsi accolto e non comunica. Queste eventualità rientrano nei danni secondari dovuti alla sordità. Quando le cose vanno male, molto male …la prassi vuole che sia colpa della famiglia.

Il participio passato del verbo “tango” è TACTUM, il nostro TATTO. Simona è a contatto diretto con la bambina toccandola, ponendo le mani sul suo corpo in coerenza con le sonorità provenienti dal pianoforte. La mani di Simona toccano la bambina; il corpo della bambina tocca le mani di Simona. E’ il Con-Tatto. E’ quello che la bambina stava rifiutando e che la persona autistica rifiuta con determinazione. Il musicoterapeuta improvvisa calibrando le sonorità sulla corporeità della bambina; il coterapeuta è a contatto diretto e segnala, attraverso la sua postura, i suoi gesti, le modificazioni del tono corporeo che avverte nella bambina.

Chi decide quando è ora di smettere? Silvia.

Quando la bambina si mette seduta mi guarda diritto negli occhi. Le chiedo se vuole il cesto dei giochi (gli strumenti musicali idiofoni, particolarmente adatti alle mani infantili). Si, li vuole. Giochiamo tutti. Indico ai genitori di prendere gli stessi strumenti che prende la bambina e creiamo dei giochi musicali che nascono dai gesti della bambina.

Silvia è attenta e ascolta. Le propongo di giocare con un tamburo che appoggio sul pianoforte. La bambina non se serve per picchiare. Che cosa fa? Capovolge il tamburo e si rannicchia al suo interno. Continuo a suonare e cantiamo il “Girotondo” Mentre cantiamo Simona con i genitori fanno ruotare il tamburo. La bambina rimane in ascolto, rannicchiata “dentro” alla cassa armonica del tamburo. 
Che cosa ci sta dicendo? 
Quello che mi dicono tanti, tanti altri bambini. Vuole essere accolta; cullata, compresa. Si lascia agire da noi, si sta affidando a noi. 
Cambiamo giochi. Prendo il cesto dei campanelli. Sono dei cerchietti intrecciati in midollino con le bubbole di metallo e nastrini colorati. Silvia ci gioca. Li prende, li scuote, li infila sulle braccia. Mi guarda. 
Le dico: “Campanelli!” 
Mi sorride e dice :”Dedèni”

CHE COSA è IMPORTANTE?

La mamma si rivolge alla bambina e le scandisce: “CAM – PA – NE – L – LI”.
Continuo a suonare e richiamo l’attenzione della mamma. 
La bambina ha compiuto cinque anni. 
Da circa due anni porta l’impianto cocleare. 
Nei due anni precedenti ha portato gli apparecchi acustici retroauricolari. 
Da quattro anni è seguita in logopedia, sia pure da professionisti diversi. 
Nel periodo precedente l’accertamento diagnostico è stata una bambina vivace ed affettuosa. 
Dopo l’applicazione degli apparecchi acustici, la bambina ha assunto un comportamento progressivamente sempre più chiusa in se stessa (parole della mamma). 
La musicoterapeuta Simona Ghezzi, quando ha conosciuto la bambina, in considerazione dei suoi rifiuti, ha dato alla mamma da leggere la sua tesi di laurea in filosofia: “Sordità e autismo; due aspetti dello stesso problema”.
La bambina sembra avviarsi verso un percorso di apertura.

Propongo di ASCOLTARE la bambina il più possibile. COME? 
La mia proposta passa attraverso due parole: “CAM – PA –NE – L – LI” o “Campanelli”? con la contabilità melodica della voce che comunica? 
La mamma parla così perché così fa la logopedista.

Nella scansione della sillabazione (cam – pa – ne – l –li) c’è l’impegno dell’adulto che si sforza al massimo per far si che il bambino sordo possa capire. In altre parole l’adulto presuppone che il sordo altrimenti non riesce a capire.

Vero o Falso?

Per rispondere rivolgiamoci a Silvia. E’ sul pianoforte. L’impianto cocleare è spento. Porta un solo apparecchio acustico. E’ interessata ai campanelli. Che cosa attira l’attenzione? I colori, le forme, i suoni? Il fatto che tutti stiamo condividendo il gioco con lei? Un po’ tutto. 
Io dico alla bambina “Campanelli” e la bambina, sorridendo, dice: “Dedèni”.

“Dedèni” è “Campanelli” nel linguaggio attuale di Silvia. 
Dobbiamo decidere se ci va bene o se non ci va bene. 
Nel caso in cui bene dobbiamo esporre il perché! 
Nel caso in cui non va bene dobbiamo esporre il perché!

Siamo tutti d’accordo che va bene. Ora tocca a me spiegare perché va bene. 
Se abbiamo avuto l’occasione abbiamo potuto osservare che i bambini (ossia ciascuno di noi nella nostra storia), intorno al primo anno di vita e per i mesi successivi, puntano il ditino verso quello che ha attirato la loro attenzione. Che cosa indicano con il ditino indice puntato? Chiedono il nome delle cose. Gli diamo il nome delle cose oppure gli chiediamo di esercitarsi sulle singole lettere, sui fonemi, sulle sillabe, secondo la prassi logopedica? 
A noi spetta il compito di pronunciare i nomi nel modo corretto; i bambini ripetono a modo loro affinando via via, attraverso il parlare, le loro abilità fonatorie (assimilazione progressiva). Questa è la strada tracciata dalla naturalità degli eventi. E’ normale che le mamme richiedano ai figli di esprimersi meglio, quando è difficile comprenderli. Si tratta di richieste motivate dal desiderio di comprendere il figlio non certo dettate da esigenze tecniche.

Analisi o Sintesi

Nei nostri percorsi di apprendimento conta di più l’analisi o la sintesi? Ci vogliono entrambe. Bisogna saper valutare i tempi, ciò che intercorre fra analisi e sintesi. 
La realtà è complessa e gli apprendimenti sono complessi. 
Il procedimento analitico è lineare. 
Affido il senso di quello che ho scritto alle parole di Carlo Sini dalla prefazione al libro “Dal Suono al Segno” (G. Cremaschi Trovesi-Mira Verdina, ed. Junior BG 2000). 
“Spesso la potenza e l’efficacia pratica dell’analisi ci rende ciechi e dimentichi del momento globale del comprendere, che nondimeno è all’origine di ogni nostra esperienza e di ogni nostro apprendimento. Finiamo allora per essere indotti a credere che gli elementi emersi nell’analisi siano essi stessi originari, e non il frutto di una nostra operazione scompositiva sul corpo indistinto della primordiale comprensione. 
Di questo errore di prospettiva soffre in particolare ciò che chiamiamo linguaggio. A partire dalla mirabile analisi e trascrizione del discorso operata dai segni stilizzati dell’alfabeto (una delle più perfette e longeve creazioni dello spirito greco), ci siamo per esempio irriflessivamente convinti che le “lettere” (vocali, consonanti, sillabe) siamo i MATTONI ORIGINARI che costituiscono “in sé” il linguaggio. Che le cose non siano così semplici basterebbe a dimostrarlo il fatto che nessun bambino ha imparato o imparerebbe a parlare grazie a un apprendimento preventivo, separato e analitico dei “suoni del linguaggio che compongono le parole”; il bambino procede per UNITA’ di SENSO GLOBALI (‘mamma’ ‘pappa’), dopo vocalizzi di prova e addestramento, unità di senso che connette in globalità più ampie (mamma:pappa!)”.

Il “Dedèni” di Silvia è il suo modo di intendere Tutta la parola campanelli. Ci sono il ritmo, l’accento e la melodia della parola (la Metrica). Tutti i bambini hanno bisogno di cogliere le parole nella loro complessità di ritmo-accenti-melodia e senso. In mancanza di tutto questo la parola perde il suo essere canto e senso. La frantumazione delle parole in sillabe ne fa perdere il senso. 
I bambini sordi, ancor più dei bambini udenti, necessitano della musicalità della parola. Il senso comunicativo della parola è nella sua musicalità, nel fatto che la parola è canto. 
Riusciremo mai a superare le barriere che la consuetudine degli ultimi secoli ha creato fra le materie di studio, in particolare il separare l’ARTE dagli altri studi? 
Così ci siamo abituati a collocare le parole come codici, non come qualcosa che nasce dalla relazione uomo-mondo. 
Il ditino puntato del bambino piccolo che chiede i nomi delle cose mentre lo teniamo in braccio è la dimostrazione dell’Essere nel Mondo, dell’imparare a vivere in relazione con gli altri, con il mondo, con se stessi.