Category: Primo piano

SCUOLA DI MUSICOTERAPIA: SERENA PERINI RACCONTA

Ripensando ai miei quattro anni di formazione presso l’APMM (Associazione
Pedagogia Musicale e Musicoterapia “G. Cremaschi Trovesi”) e chiedendomi
come trasformare in un testo scritto le sensazioni, emozioni ed esperienze
vissute durante questo periodo la parola che compare spesso è “Curiosità”.
La Curiosità è ciò che mi ha condotto prima ad interrogarmi sulla parola
musicoterapia e a chiedermi: di cosa si tratta esattamente? E’ un termine che ha
origini molto antiche e che ancora oggi è presente nella nostra società; che cosa
si nasconde dietro a questa parola “musico-terapia”?
La Curiosità poi mi ha condotto ad iscrivermi durante i miei anni di studio di
flauto in Conservatorio a due bellissimi stage di jazz, prima a Fabriano e poi a
Labro. Qua ho incontrato una contrabbassista, poi diventata cara amica.
A distanza di anni dai seminari jazz, scopro che questa amica si è trasferita poco
lontano da dove abito e così – sempre la Curiosità – mi porta a contattarla e a
chiederle se vogliamo vederci per bere qualcosa insieme. Ed è in questa
occasione che sento parlare per la prima volta di Giulia Cremaschi Trovesi e del
suo approccio umanistico alla musicoterapia.
Incuriosita, il giorno successivo cerco informazioni su internet e scopro che
dopo qualche mese sarebbe iniziato il primo corso di musicoterapia. In questi
anni ho spesso ringraziato l’amica contrabbassista per avermene parlato perché
frequentare questo corso è stata per me un’esperienza estremamente
arricchente ed entusiasmante.
Già laureata in storia e filosofia, ho avuto modo per la prima volta di assistere a
una pedagogia di tipo maieutico-socratico ed incentrata sul learning by doing.
Ho sperimentato poi un livello di attenzione mai avuto durante tutto il mio
percorso di formazione. Ciò che mi ha stupito fin dall’inizio è stata la profondità
con la quale le tematiche del corso sono state affrontate. Entusiasmanti sono
state le lezioni riguardanti i campi del linguaggio, della matematica e della
musica.

Mai avrei pensato che dietro alla parola musicoterapia potesse nascondersi tutto
ciò: l’improvvisazione musicale calibrata sulla partitura vivente, la nascita della
parola, il numero in relazione allo spazio, l’apprendimento della lettura e
scrittura musicale. Mi ha incuriosito molto anche la modalità di insegnamento
dell’improvvisazione al pianoforte: da un suono sulla tastiera nelle diverse
ottave all’utilizzo creativo della cadenza italiana.
Il corso di musicoterapia e pedagogia musicale ha sicuramente arricchito la mia
professione di insegnante di musica e di sostegno presso la scuola Secondaria di
primo grado: mi ha insegnato a non dare nulla per scontato, ad intuire i bisogni
degli alunni e a valorizzare i piccoli passi.
Fondamentale e in continuo work in progress è inoltre il lavoro di formazione
personale: un lavoro iniziato con il gruppo e che poi ho deciso di proseguire
individualmente. Sicuramente il corso frequentato è impegnativo per ciò che
riguarda “il dopo”, cioè la formazione permanente sia personale che
professionale ma – nello stesso tempo – è estremamente gratificante.
Sono grata per aver avuto l’opportunità di far parte di un bellissimo gruppo – sia
di compagni di corso sia di docenti – che ha allargato i miei orizzonti,
modificando con gentilezza il mio modo di comunicare, ascoltare e fare musica.
Vorrei concludere questo breve testo augurandomi di riuscire a trasmettere nel
mio lavoro di insegnante e nelle attività di musicoterapia che conduco la
profondità, ricchezza e gioiosità dei principi della musicoterapia umanistica.

Serena Perini

DUE CHIACCHIERE CON SIMONA GHEZZI

 

 

 

Grazie per questa opportunità.

Scrivere.

Guardarmi indietro e vedere le orme dei passi che hanno lasciato i segni
sulla sabbia.

Sono i segni di un’esperienza che si chiarisce nel tempo.

Sono Simona Ghezzi, musicista musicoterapeuta, innamorata della filosofia.

La filosofia, insieme alla musica, sono state e sono tuttora il percorso di
studi, lavoro e ricerca che ho scelto. La filosofia mi ha permesso di
comprendere più da vicino il “fare musica”, la musica e la musicoterapia
mi hanno permesso invece di mettere radici al pensiero, far si che non voli
troppo in alto: questo è il rischio per chi studia filosofia, girare su se stessi.

Questa congiunzione ha avuto inizio dall’incontro con Giulia, un incontro
magico. Il peso delle parole a partire dai suoni, il peso del dito che
affonda nel tasto del pianoforte, il valore del silenzio, un “fare” mai
disgiunto da un “pensare” e un “pensare” mai disgiunto dal “fare”: questo
è ciò che ho avvertito dai primi istanti, nei primi incontri, ed è ciò che
mi ha appassionato giorno dopo giorno.

Questa passione in questi anni mi ha messo anche tanto in crisi, crisi di
fronte al dubbio, all’incertezza di un sapere presuntuoso, certo della sua
incrollabile verità.

Lavoro da circa venticinque anni nel mio studio, incontrando bambini ragazzi
e famiglie, e nella scuola, dentro le classi liceali, a stretto contatto con
gli adolescenti attraverso lo studio e la pratica della filosofia.
Per un Etica delle passioni: ricordo questo lavoro molto intenso e
interessante dedicato a Spinoza, realizzato con i  ragazzi delle classi
di quarta liceo insieme al gruppo ragazzi adulti dell’ANFASS di Crema,
nell’ambito di una rassegna culturale, dedicata alla monografia di personaggi
leggendari.

Un’esperienza entusiasmante:  musica disabilità e filosofia a stretto
contatto. La grande opera di Spinoza  prende vita, la visione razionalista
dell’autore apre scenari che superano uno stato ordinario di coscienza nel
quale emergono i temi del “non giudizio”,  della “beatitudine”,
dell’ “amicizia”.

Il mio lavoro dentro alla musica è iniziato proprio nelle classi delle
scuole, dapprima scuole primarie , luogo prezioso per fare esperienza e
mettere in campo creatività, energia e un ascolto paziente.

Amo tanto lavorare con l’infanzia. Giocando e suonando con i bambini, si
sprigiona in me la gioia infantile, il divertimento e lo stupore. Mi piace
giocare davvero, e non far finta di…

Nelle situazioni più difficili, con bambini in difficoltà nelle relazioni,
negli apprendimenti, è così importante questo “non far finta di…”, perché
almeno una volta nella vita, tutti quanti noi siamo stati giudicati incapaci
e inadeguati. Tutti noi viviamo di quelle passioni che animano le persone
che incontro, l’amore, l’odio, la tristezza, la rabbia, la paura, la
disperazione e la speranza… Sono le passioni che ci mettono in contatto
con noi stessi, con gli altri, anche con i professionisti con i quali mi
confronto, quelli che lavorano lasciando che il pensiero sia libero e
autonomo, e coloro che, costretti nelle maglie delle istituzioni, incastrano
ogni slancio, ogni speranza. E’ una realtà con la quale ho dovuto fare i conti.

In questi anni ho imparato anche la pazienza e la lentezza che agli inizi del
mio lavoro non praticavo facilmente.

Questo lavoro lo vivo ogni giorno, e credo sia uno degli ingredienti
irrinunciabili della mia felicità.

Simona Ghezzi

LA RISONANZA, TRA FISICA E MUSICA

Dall’intervento del prof. Saul Casalone a “Musica al di là di ogni Barriera”

Teatro Dal Verme 5 maggio 2023

 

 

 

 

 

 

 

Nel modello di Musicoterapia Umanistica la risonanza è un tema centrale. Si tratta di un
termine che rimanda in modo chiaro a fenomeni squisitamente acustici: risuonare è anzitutto
un suonare di nuovo, in risposta ad un altro suono. La parola risonanza evoca dunque quella
relazione su cui si fonda la professione del musicoterapeuta. Tuttavia, entrare nel merito di
una descrizione puntuale del fenomeno fisico della risonanza è impresa ardua per un
musicista, il cui percorso di studi solitamente trascura, purtroppo, temi fondamentali di fisica
acustica. Durante il corso quadriennale di Musicoterapia Umanistica, gli studenti hanno
l’opportunità di toccare tali temi grazie alla presenza di un docente di fisica. Si tratta di un
incontro felice, quello tra fisica e musica, che porta ad indagare con meraviglia il suono: un
semplice esperimento, come la risonanza tra due metronomi, può suscitare grande stupore.

Come si può descrivere fisicamente il fenomeno della risonanza? Per quale motivo ci meraviglia tanto?

La risonanza è un fenomeno, ai nostri occhi, decisamente sorprendente, forse perché
testimonia un’interazione, un qualche tipo di comunicazione, tra due corpi distanti l’uno
dall’altro. A ben vedere, in natura i fenomeni di risonanza sono tutt’altro che insoliti, e non
sono strettamente limitati all’acustica. Il termine risonanza è usato in fisica per indicare
fenomeni differenti, dal mondo microscopico sino alla scala astronomica, i quali mostrano
significative analogie con la risonanza acustica. I fenomeni di risonanza sono tanto diffusi,
perché in natura tutto, in prima approssimazione, può essere considerato un oscillatore
armonico.

Come possiamo comprendere il concetto di oscillatore e il suo legame con la
risonanza?
L’esempio più semplice di oscillatore è quello di un pendolo. Scostandolo dalla sua
posizione di equilibrio, cediamo energia al pendolo, e questo si mette in oscillazione con una
frequenza che dipende dalla sua lunghezza. In generale, grandi oscillatori hanno bassa
frequenza, piccoli oscillatori hanno alta frequenza: si pensi ad esempio alla differenza tra le
dimensioni di un contrabbasso che emette suoni gravi (ovvero a bassa frequenza) e un
violino che emette suoni più acuti (ovvero ad alta frequenza).
A causa degli attriti, l’ampiezza delle oscillazioni di un pendolo si riduce progressivamente
sino a fermarsi. Per compensare questa dissipazione di energia, è necessaria una forzante
periodica che abbia una frequenza prossima alla frequenza caratteristica dell’oscillatore. In
queste condizioni si dice che la forzante è “in risonanza” con l’oscillatore. Due oscillatori
possono svolgere il ruolo di forzante l’uno per l’altro. Se le loro frequenze caratteristiche
sono simili, essi entrano in risonanza con un continuo trasferimento di energia dall’uno
all’altro.


Come avviene questo trasferimento di energia?
Perché due oscillatori distanti possano entrare in risonanza è necessario che vi sia un
mezzo oscillante che comunichi l’oscillazione dell’uno all’altro oscillatore. Nel caso della
risonanza acustica il mezzo oscillante è l’aria: i rebbi del diapason, oscillando, producono
delle zone di compressione e rarefazione dall’aria che si propagano come un’onda sferica.
Ogni singola molecola d’aria si comporta come un oscillatore, oscillando attorno ad una
posizione di equilibrio. La propagazione dell’onda non comporta quindi un trasporto di
materia, bensì soltanto un trasferimento di energia.

Risonanza, energia, sono termini ricchi di accezioni differenti e utilizzati spesso con poca consapevolezza, eppure si tratta di concetti che descrivono fenomeni che appartengono alla nostra quotidianità, al nostro essere nel mondo.

Qual è l’origine di queste ambiguità?
Il fatto che un fenomeno fisico così pervasivo in natura, quale è la risonanza, possa risultare
ai nostri occhi sorprendente credo sia rivelatore dei condizionamenti culturali che
caratterizzano il nostro modo di interpretare la realtà che ci circonda. A livello di cultura
diffusa permangono concezioni meccanicistiche obsolete, poco propense a riconoscere la
possibilità di interazioni a distanza tra parti distinte di uno stesso sistema fisico. Al contrario,
il fenomeno della risonanza offre un modello concettuale potente attraverso cui pensare le
pratiche di cura, anche in senso meramente analogico, per riferirsi a dinamiche di natura
emotiva, affettiva, relazionale. Questo, nella consapevolezza che ogni analogia individua
delle somiglianze tra fenomeni diversi e quindi non può essere prolungata sino a obliterare
tale differenza.
Mentre ascolto l’esecuzione di un brano musicale, tutta la mia struttura fisica è impegnata in
moltitudine sconfinata di risonanze, che agiscono ad ogni livello fisico e a diverse scale di
grandezza. Entro questa complessità irriducibile, la risonanza emotiva si manifesta come
proprietà emergente, di cui non è possibile individuare una causa fisica univoca.
Forse può suonare strano se detto da un fisico, ma è doveroso riconoscere che la
complessità dei fenomeni che afferiscono alla sfera dell’umano, degli affetti, delle emozioni,
chiede talvolta di fare a meno delle spiegazioni fisiche.

Carol Bergamini
Saul Casalone

INSIEME A FRANCESCO. Uno sguardo sulla giornata “Musica al di là di ogni barriera”

Mentre ringraziamo il pubblico che applaude la nostra esibizione, Francesco sorride e mi tiene forte il braccio senza più lasciarmelo andare. Sono lievemente in imbarazzo perché io stessa vorrei mettermi dalla parte di chi lo applaude, invece Francesco non molla: prendiamo insieme questi applausi e mi accorgo che questo è un primo, inequivocabile segnale del fatto che in una manciata di minuti abbiamo, insieme, costruito qualcosa, dando vita ad un movimento adagio di un trio di Haydn e ad un arrangiamento di Vocalise di Rachmaninoff per violino, violoncello e pianoforte. Nel momento in cui iniziamo a suonare, chi sono? Una violinista, una novizia musicoterapeuta o l’insegnante di sostegno uscita da scuola poche ore prima? L’attacco del suono frantuma questi confini interiori: sono una persona in ascolto, con il proprio bagaglio di esperienze umane e professionali.

Dopo aver scelto la professione di insegnante, che concilia studio, dedizione, cura e relazione, ho spesso dovuto fare i conti con un senso di nostalgia per la musica, che non avrei più avuto frequentemente sotto le dita, specialmente quella da camera. Questo è il ritornello che molte volte racconto, interrogandomi su quale sia il mio orizzonte di realizzazione professionale e giustificando a me stessa, fra mille dubbi, il diritto di stare su un palcoscenico. Vi è però un’altra storia, quella che mi ha raccontato chi, quello stesso pomeriggio, ha avuto modo di ascoltarmi prima e descrivermi poi come una violinista perfettamente adatta a ricoprire quel ruolo, lusingando il tocco e il livello di ascolto che avevo dimostrato.

Credo che entrambe le storie meritino ascolto e per questo il titolo della giornata di formazione, Musica al di là di ogni barriera, si tinge di un significato meno evidente di quello che certamente sottolinea la necessità e lo sforzo di andare oltre le differenze a volte nitide fra chi ha una disabilità e chi no: barriere sono anzitutto i pregiudizi verso noi stessi, sono le voci con cui quotidianamente facciamo i conti e che, rimanendo su un piano interiore piuttosto che emergere su quello sociale e condiviso, facciamo più fatica ad identificare. La prima barriera che il concerto con Francesco ha abbattuto è stata proprio quella che mi ha precluso in questi anni di considerarmi al contempo una professionista della musica e della scuola, ritrovando un’unità di senso al percorso di studi che ho fatto, percorso in cui prorompe anche quella “musicoterapia” che è semplicemente atto di cura. Quella che ho di fronte ai ragazzi di scuola, agli studenti di violino, a Francesco e a tutti i provvisori compagni di un qualsiasi concerto.

Non nascondo di aver avuto un poco di preoccupazione la sera in cui ho accettato la proposta di suonare al Teatro Dal Verme a fianco di un pianista con autismo. Anche durante le minime prove che abbiamo fatto, un’ora prima del concerto, ho mascherato mille dubbi: “Come facciamo a partire insieme?” “Riusciremo?” “Devo chiedere chi dà l’attacco o parto io?” “Posso chiedere di riprovare un punto o mando in confusione?”. Come se queste fossero preoccupazioni speciali. La verità è che mi sono comportata come avrei fatto con chiunque altro e, al di là di questo, mi sono trovata a suonare con un ragazzo estremamente vitale e unico come ciascuno di noi può essere. Ho riflettuto a lungo sul percorso di studi che Francesco Salinari immagino abbia fatto, sulle difficoltà, le opposizioni e i pregiudizi che possa aver incontrato. Da insegnante, occorre tenerlo presente ogni qualvolta si verifica un inciampo a cui consegue la netta sensazione di aver fallito, per sé o per i propri studenti. Al termine del concerto ho provato un grande senso di gratitudine per Francesco e ci siamo lasciati con un arrivederci, mentre il mio volto era chiaramente commosso per quel piccolo gesto di umanità, suonare, che abbiamo compiuto insieme.

Carol Bergamini

STEFANIA BATTARINO E LA MUSICOTERAPIA UMANISTICA IN SARDEGNA

Incontriamo Stefania Battarino, Musicoterapeuta Certificata che ci racconta la sua storia.

Dove svolgi la tua attività di musicoterapia? Da quanto tempo?

Vivo e lavoro a Cagliari dove si trova anche il mio studio di musicoterapia che è nato nel luglio del 2001 ma ho iniziato a fare musicoterapia nel 1997 in un centro diurno per persone adulte con disabilità.
A Cagliari ancora non si parlava di musicoterapia ed è stato per me un lungo e appassionante periodo di incontri nelle scuole, nei centri di riabilitazione, nelle associazioni e in tutti gli enti che si occupavano di disabilità e di benessere della persona. Viaggiavo per la Sardegna in lungo e in largo per parlare con le persone e far loro conoscere la musicoterapia umanistica. In quegli anni prendevo tanti aerei per proseguire con la formazione e per incontrare le persone a cui volevo e voglio tuttora bene.

A che persone ti rivolgi principalmente?

Ho sempre lavorato con persone di diverse età ma ho una maggiore esperienza con giovani e adulti con disturbi psichiatrici e varie disabilità; recentemente ho iniziato a lavorare anche con gli anziani. Mi piace inoltre condurre seminari di crescita personale con chi desidera fare un lavoro su di sé; questi sono incontri preziosi per me perché posso sperimentare e tornare alla musica in modo diverso, forse più libero e creativo e con minori tensioni.

Collabori con professionisti di altri settori?

Si e con molto piacere, lavoro in coppia con Francesca Lilliu con cui collaboro da quasi 10 anni. Francesca è una danzamovimentoterapeuta con la quale abbiamo dato vita al progetto che abbiamo chiamato Sinergia perché unisce le nostre competenze.
Con lei ho anche ritrovato l’aspetto più artistico del nostro lavoro, è un piacere suonare e rispecchiare i suoi movimenti, lasciarmi condurre dalla sua energia ed è bello anche cercare nuovi strumenti musicali per sostenere, incoraggiare e rinforzare.

Collaboro inoltre con Alessandra Micheli, una fisioterapista ed operatrice shiatsu; uniamo il trattamento shiatsu con l’armonizzazione del suono strumentale e/o vocale e ultimamente con Patrizia Piras che fa reflessologia plantare e fiori di Bach.
Queste collaborazioni sono preziose per me perché sono occasioni per farci domande a vicenda, per comprendere meglio il nostro lavoro.

Spesso gli obiettivi del nostro procedere sono identiche ma il modo di raggiungerli è diverso, riscopriamo quindi il ruolo del suono, del corpo, della relazione, dello spazio, dell’energia e del tempo, del peso, dello scambio, dello sguardo, del rispetto reciproco.
Sono momenti nei quali la musica e il movimento trovano una nuova vita.

Nell’incontro delle differenze ci sono sempre delle nuove nascite.

Sono convinta che non esista una “verità”, che non ci sia in assoluto un modo giusto o sbagliato di agire. Nell’incontro con gli altri professionisti, anche con musicoterapeuti di diversa formazione, mi sono lasciata sorprendere dalla ricchezza delle differenze, dai diversi punti di vista, da come ognuno di noi guarda, ascolta e si muove nel proprio spazio interno ed esterno.

Vivere su un’isola, da giovane non mi piaceva e scappavo appena potevo, viaggiavo alla ricerca di terra ferma, della stabilità, della certezza.
Volevo ascoltare nuove voci, nuovi suoni, parlavo le lingue straniere e questo mi rendeva libera e mi dava una grande euforia.

Dentro di me albergavano i miei antenati viaggiatori ma io non ne ero consapevole.
Quando tornavo a casa ero confusa.
Nel mio lavoro di musicoterapia, volevo riportare e riproporre le esperienze fatte sulla terra ferma, ma le voci, i suoni, gli sguardi, le reazioni, gli atteggiamenti delle persone della mia terra isola erano diversi e tutto mi sembrava difficile.
Quello che capitava sulla “terra ferma” non capitava nella mia.

Perché eravamo così diversi?
Quello che imparavo a Bergamo, a Bologna ma anche ad Amsterdam o a Londra, non valeva a Cagliari e ancora meno in altre zone della Sardegna.
Chi ero io? Come mi dovevo muovere? Cosa e come suonare? Quale musica?
Perché tutto era così diverso?

Non chieder più Nulla per te qui resta. Non sei della tribù. Hai sbagliato foresta.

(Cabaletta dello stregone benevolo di Giorgio Caproni)

Io sono cresciuta perché ho ascoltato lingue e accenti diversi, cercando di rispettarli.
E solo ascoltando le altre voci, ho potuto ascoltare meglio la mia.
Ora posso dire che è bello vivere su una terra antica e ho scoperto che quel senso di instabilità e di precarietà, albergava soltanto dentro di me e proprio come accade negli incontri di musicoterapia, ho dovuto guardare e trasformare il mio disagio per entrare in risonanza proprio con quella “foresta”.

Si è creata una rete di collaborazioni con altre figure professionali/associazioni del territorio?

In tutti questi anni si è creata una rete che a volte è invisibile perché è fatta di passaparola. In un mondo dove il marketing e i social trionfano, io lascio le energie dedicate alla pubblicità a chi ne ha voglia.
Sono convinta che le persone vengano a fare musicoterapia perché veramente lo desiderano e perché trovano uno spazio di ascolto e accoglienza.

Entrano in uno studio pieno di strumenti musicali, di cesti e di colori, trovano un giardino con gli alberi di arance e credo che sia bello suonare e stare insieme così.
Le persone arrivano perché gli altri ne parlano.
Certamente ho collaborato e collaboro con centri che si occupano di disabilità, quindi arrivano con il loro bus gruppi di adulti disabili, tante famiglie e gruppi di persone che amano la musica, la danza, l’arte e che cercano uno spazio autentico.

Stefania Battarino

MAI PIU’ DA SOLI – ROMA DICEMBRE 2022

Roma, 27 dicembre 2022, ore 15. Siamo sulla porta del Polo Panfilo Castaldi del Municipio XII in attesa dell’arrivo dei bambini e ragazzi iscritti all’evento “Mai più da soli – Roma 2022”.
Di cosa si tratta?
Facciamo un salto indietro nel tempo, torniamo all’estate appena trascorsa. Tra gli ospiti della seconda Settimana Estiva organizzata a Crema presso la Casa del Pellegrino dalla Federazione Italiana Musicoterapeuti (FIM), ci sono Alice e la sua mamma Isa.

Viviamo giorni di attività artistiche, musicali, educative rivolte a famiglie con bambini e ragazzi con disabilità che arrivano da varie regioni d’Italia. La settimana estiva fa parte del più ampio progetto MAI PIU’ DA SOLI della Casa del Pellegrino di Crema: un modo per accogliere e dare dignità alla persona, qualunque siano le sue condizioni e il suo ruolo. Perché i primi ad aver bisogno dell’altro e a cercare di vivere quel MAI PIU’ DA SOLI sono proprio i volontari, 60 attualmente, di cui trenta sono ragazzi tra i 16 e i 25 anni.

L’entusiasmo e la gioia che Isa si porta a casa contagia famigliari, colleghi e amici romani di cui uno con un ruolo politico. Non si arrende all’idea che tutto finisca in pochi giorni. Vuole portare a Roma, nella sua città, tutto il bello e il bene condiviso a Crema. E sa che noi, musicoterapeute FIM, ci siamo, insieme a Simona Colpani, co-fondatrice della Musicoterapia Umanistica della Relazione Circolare secondo il modello di Giulia Cremaschi Trovesi.

Isa D’Alessandro, delegato F.I.E.R Fédération International des Enseignants de Rythmique – dell’Associazione Italiana Jaques Dalcroze (AIJD), si rimbocca le maniche. Si stringe la collaborazione tra AIJD e FIM e si prepara l’evento che si svolgerà dal 27 al 30 dicembre 2022 con lo stesso nome (MAI PIU’ DA SOLI) di quello cremasco, da cui ha preso l’ispirazione e l’avvio. E quando finalmente siamo a Roma non ci sembra vero. Le emozioni sono sempre tante quando ci si appresta a conoscere famiglie e ragazzi nuovi, come per altro è anche per le famiglie e i ragazzi: nuovi terapisti, nuovi incontri che potrebbero significare nuovi giudizi o nuove occasioni.

Uno dopo l’altro arrivano tutti i bambini e ragazzi iscritti.
Isa D’Alessandro dà il via, emozionata e felice, alle quattro giornate che ci aspettano. Presentando i diversi professionisti che collaboreranno per offrire a famiglie e ragazzi un luogo accogliente, valorizzante, familiare e rasserenante: musica d’insieme, musicoterapia secondo il modello della relazione circolare, ritmica Dalcroze, attività montessoriane, danza inclusiva, globalità dei linguaggi di Stefania Guerra Lisi.
Paola Beltrami (referente della settimana estiva di Crema) presenta le colleghe Simona Colpani, Roberta Alberti e Cecilia Zaninelli. C’è attesa e curiosità per la Musicoterapia Umanistica della Relazione Circolare e la Musica d’Insieme perché Roma capitale, nella sua magnificenza, non ha musicoterapeuti FIM.
Prima di entrare nel vivo, Davide Balestracci, presidente della Casa del Pellegrino di Crema (CR), racconta come e dove è nata la settimana estiva e soprattutto il motto MAI PIU’ DA SOLI, che non è parole ma un modo di essere che non riguarda solo chi è accolto, ma anche chi accoglie, perché ognuno di noi ha bisogno di sperimentare la solidarietà e la condivisione, scoprendo che se si cammina insieme si possono raggiugere mete precluse al viaggiatore solitario.
Dopo la visione del video pubblicato da Crema Online (https://www.cremaonline.it/rubriche/29-11- 2022_La+Casa+del+Pellegrino,+un+luogo+di+ritrovo+e+inclusione/ ) iniziano le attività: Ritmica Dalcroze, Musicoterapia e Musica d’insieme, a cui si aggiungeranno Danza Inclusiva e Attività Montessoriane.
C’è musica nell’aria, musica che scioglie i nodi, musica che accarezza le ferite come un balsamo e che riscalda i cuori facendo divertire, cercando il bello anche dove potrebbe sembrare difficile vederlo.

C’è posto per tutti, mamme e papà, fratelli e sorelle.
Cantiamo il nome proprio, e subito i volti arrossiscono, qualche lacrima sgorga incontrollata per l’emozione di sentirsi chiamare per nome con il canto da tutti insieme. E l’emozione è grande anche nei genitori, che giocano, suonano, cantano, lasciando almeno per un attimo da parte le preoccupazioni dell’oggi e del domani, le routine di accudimento.
Ogni giorno proponiamo il laboratorio di musica d’insieme facendo conoscere strumenti diversi: il sassofono, l’arpa, il violoncello.
Bambini irrequieti, distratti, con gli occhi che vagano ovunque riescono a fermarsi, a osservare e soprattutto ascoltare con le mani, con i piedi, lo strumento proposto. Sono attimi di ascolto profondo, di magia, nel senso etimologico del termine, quel “di più” (magis) che finalmente fa illuminare gli sguardi di piccoli e grandi. L’attenzione messa in atto diventa concentrazione, capacità di soffermarsi sul punto focale, di tralasciare il resto. E’ scegliere di esserci e di mettersi in gioco. Suonare e cantare insieme crea unione, comunione, energia donata e catturata da ognuno. I genitori raccontano il piacere dello stare insieme, finalmente senza la paura del giudizio, senza la preoccupazione di sentirsi inadeguati, emozionati per il piacere trovato o ritrovato, piacere che si legge nel viso sempre più disteso. Il suono è relazione, il suono è onda di energia che ti entra dentro e ti “sconquassa”, ti libera dalle difese, ti invita con ostinata dolcezza a lasciarti andare.
Anche durante le sedute di musicoterapia accadono eventi unici.
Bambini e ragazzi, una volta saliti sopra la cassa armonica del pianoforte appositamente rinforzata, si ascoltano, ognuno a modo proprio. Qualcuno riesce a rilasciare le tensioni corporee dovute ad una lesione cerebrale, altri smettono di obbedire e iniziano a giocare e a permettersi di esprimere se stessi, altri ancora si lasciano toccare e interrompono corse che sono fughe. Non sono miracoli come qualche genitore li ha chiamati, bensì uso consapevole del potere insito nel suono, nella musica, nel contatto, nella relazione e nella fiducia. Ovviamente non basta avere uno sguardo fiducioso sull’altro, e non basta saper suonare bene. Eppure questi due elementi sono ingredienti fondamentali. Tutto il sapere tecnico diventa potente ed efficace se consapevolmente scelto e usato a partire da uno sguardo dell’altro rispettoso.
Gli effetti li vedono i genitori ma sono stati confermati ad esempio da un fisioterapista che, vista una ragazza nel pomeriggio, ne ha confermato una conquistata morbidezza riuscendo a lavorare meglio di quanto non fosse accaduto in precedenza.
.
Al centro c’è la persona, e la persona è corpo, corpo vibrante. Ognuno di noi, più o meno consapevolmente, sceglie quando lasciarsi risuonare. A volte siamo strutturati in difesa, irrigiditi da delusioni, paure o semplicemente preconcetti. Quando invece ci diamo il permesso, e il tempo, di risuonare, di lasciarci vibrare degli eventi della vita, allora accade ciò che non ci si aspetta. Per cultura siamo soliti trascurare e sottovalutare il potere delle esperienze sensoriali e motorie. L’intelletto, le conoscenze, i saperi e tutto ciò che ha a che fare con il cognitivo ha un valore sociale riconosciuto. Invece le ultime scoperte delle neuroscienze hanno confermato ciò che chi operava a stretto contatto con i bambini e con le persone con fragilità già sapeva: le funzioni cerebrali superiori hanno le loro radici nei gesti quotidiani, nel fare, nelle emozioni e nel potere delle relazioni.
Allora le esperienze proposte durante questi quattro giorni, dove la sensorialità, la relazione, l’essere toccati e il poter toccare, il muoversi con la musica tanto che ogni gesto, anche il più quotidiano, era danza, hanno riempito, risposto a domande inespresse ma già presenti.
Per noi professionisti obiettivo altrettanto importante quanto il fare star bene i bambini e i ragazzi era che i presenti fossero consapevoli che dietro ai gesti e alle musiche giocate con apparente naturalezza c’era e c’è un pensiero e un sapere professionale. Per questo sono stati dedicati due momenti perché i genitori potessero incontrare i professionisti e scoprire alcuni dei principi teorici, invisibile trama che sostiene l’ordito. In un incontro Stefania Guerra Lisi ha spiegato i fondamenti

teorici della “Globalità dei linguaggi” e nel secondo Giulia Cremaschi Trovesi, in collegamento da Bergamo, insieme alle professioniste presenti a Roma hanno mostrato alcuni principi teorici e risposto alle domande dei genitori.
L’esperienza si è conclusa con una verifica con tutti i presenti. Il sentimento generale è stato quello della gratitudine reciproca, dell’essersi sentiti come a casa, accolti, davvero non più soli. Il desiderio comune è stato perciò quello di dare continuità all’esperienza. Alcuni genitori avrebbero voluto venire “al nord”, ma non è questa la soluzione. C’è invece una strada possibile, che è quella testimoniata nel libro dal titolo “Noi siamo tempesta” di Michela Murgia: ogni piccola apparentemente insignificante persona se non resta da sola e si allea con altri può fare la differenza, come vari eventi storici hanno dimostrato. Non servono atti eroici, al contrario serve non stare mai più da soli e continuare a credere. Un passo dopo l’altro, insieme, si può scoprire che di fronte alle grandi prove della vita, come quella di un figlio nato con una disabilità, si può fare qualcosa di più che subire e adattarsi: si può costruire un oggi e un domani sereno.

Paola Beltrami, Simona Colpani, Roberta Alberti, Cecilia Zaninelli

Francesco Delicati : la Musicoterapia Umanistica con gli anziani e i malati di Alzheimer

La Musicoterapia Umanistica applicata ad anziani e a malati di demenza Alzheimer prende le mosse dal riconoscimento dell’unicità di ogni persona umana e del valore e della significatività che ogni vita rappresenta, anche quella vicina all’età della morte e quella colpita da malattie devastanti come l’Alzheimer. 

I destinatari dell’intervento musicoterapico sono persone che appartengono a quella stagione dell’esistenza denominata Età Adulta Avanzata che inizia dai 60 anni e procede fino al compimento della vita stessa.

E’ l’età senile, l’età dell’anzianità, della vecchiaia, che comprende al suo interno la Terza, la Quarta e addirittura la Quinta età.   

L’invecchiamento porta con sé tutta una serie di problematiche che possono creare difficoltà, disagio e sofferenza alla persona, accelerando così il decadimento e il deterioramento fisico, mentale e psicologico. Se a questo si aggiunge il ricovero in istituto (residenze protette, case di riposo) la situazione si può complicare ulteriormente. Si possono verificare, allora, condizioni di calo vitale, di apatia, depressione, relazioni conflittuali nel gruppo degli anziani e di tensioni tra gli ospiti e il personale che li assiste. Nella visione umanistica l’invecchiamento associato al ricovero, in termini musicali rappresenta la “rottura” di un ordine, dell’armonicità della persona.

La musica e la musicoterapia sono UN INTERVENTO DI SOSTEGNO (preventivo, riabilitativo e/o terapeutico) alle difficoltà di chi vive le problematiche dell’invecchiamento associate a quelle del ricovero. La musica, infatti, può offrire alle persone anziane sofferenti un valido aiuto perché allontana la depressione, la noia, l’ansia, l’insicurezza, la svalutazione di sé, e aiuta a recuperare le capacità intellettive e affettive. 

Scopo centrale della musicoterapia: “risvegliare” il gruppo di anziani ricoverati, riattivarne le energie sopite, APRIRE CANALI DI COMUNICAZIONE che permettano all’individuo di accedere alle proprie risorse nascoste e di riattivare, mantenere e sfruttare al massimo le funzioni intellettive, fisiche e affettive residue. 

La musicoterapia offre all’anziano un CONTESTO DI OPPORTUNITÀ nel quale la musica e le relazioni da essa instaurate favoriscono una migliore sintonia e un “accomodamento” con l’ambiente e migliorano la qualità della sua vita.

Queste ricadute positive si possono avere anche con il malato Alzheimer perché la musicoterapia, come forma di terapia riattivante, oltre a rappresentare un’esperienza privilegiata di ascolto della sua sofferenza, funziona come un CONTENIMENTO, una RASSICURAZIONE, e un SOSTEGNO laddove la persona vive e “sente” la sua esperienza come una perdita delle coordinate spaziali, temporali ed affettive.

Inoltre, nelle persone con demenza la risposta alla musica si conserva anche quando questa è molto avanzata: la musica può avere effetti a lungo termine, per esempio miglioramenti dell’umore, del comportamento e perfino della funzione cognitiva, che possono persistere anche ore o giorni dopo che questi benefici sono stati innescati dalla musica. È per questo che Oliver Sacks, neurologo e ricercatore, afferma che per quanto sono persi nella demenza, la musica è una “necessità, e può avere un potere superiore a qualsiasi altra cosa nel restituirli, seppure soltanto per poco, a se stessi e agli altri” (O. Sacks, 2008, 393).

Gli stessi malati sottolineano gli effetti benefici del fare musica assieme e il potere della musica di “dare nuova vita” o di “rifare nuove” le persone, destando in loro la vitalità e la volontà di vivere.

La musicoterapia, come intervento psicosociale, può aiutare sia la persona a mantenere la sua condizione, la sua autonomia, a preservare le sue risorse e abilità, a rallentare il decorso della malattia, fin dove è possibile, sia chi se ne prende cura (famiglie, operatori, caregivers, personale sanitario).

In genere l’intervento di musicoterapia con anziani si attua in case di riposo, residenze protette e centri diurni per malati Alzheimer. Il lavoro è di gruppo (da 8-10 persone o 15) e all’interno del gruppo è comunque possibile attuare interventi individuali. L’intervento individuale in genere non viene richiesto dai committenti (lo si attua solo nelle grandi istituzioni o presso studi di professionisti). Anche l’intervento con malati Alzheimer è di gruppo (dalle 5 alle 12 unità sottoposte a valutazione neuropsicologica).

La frequenza degli incontri è di uno o due a settimana, per la durata di un’ora-un’ora e mezzo, a seconda delle esigenze e dei bisogni delle persone e della gravità della malattia di demenza. 

Nelle case di riposo sono previsti incontri di verifica e di monitoraggio del lavoro con l’équipe multiprofessionale (geriatra, assistente sociale, educatori, animatori ed assistenti).

Il rapporto con i familiari consente ad essi di verificare la validità del trattamento e in alcuni casi offre l’opportunità di “scoprire” aspetti del proprio anziano o malato inaspettati e sorprendenti. In un’ottica sistemica, vengono condotti piccoli gruppi di musicoterapia per familiari e malati Alzheimer (2-3 famiglie) e gruppi di musicoterapia e counseling per caregivers (familiari impegnati nell’assistenza a malati di demenza). Tali gruppi hanno ricadute ed effetti positivi nelle persone, sia nel rapporto con il proprio malato, sia nella gestione e nel vissuto della malattia stessa.

Un programma di lavoro di musicoterapia prevede molteplici attività musicali per andare incontro alle esigenze e ai bisogni di ogni persona che frequenta il piccolo gruppo.

Nel lavoro vengono integrate tecniche attive e ricettive, tra cui: il canto di canzoni del repertorio della musica leggera e popolare, l’ascolto di brani musicali, l’associazione musica/movimento (dal rilassamento fisico, ai gesti liberi o strutturati in sequenze ritmiche, al ballo libero e alle danze popolari) l’improvvisazione strumentale. Queste attività musicali (integrate anche da terapia del ricordo e da attività extra-musicali) vengono usate singolarmente o in combinazione tra loro, a seconda dei soggetti, dei loro bisogni e degli obbiettivi da perseguire.

L’esperienza di Claudia Del Bello alla Scuola di Musicoterapia Umanistica

Negli anni 2016 – 2020 ho vissuto quattro anni di alta formazione densa di esperienze significative.
Significativi gli incontri con formatrici e colleghi di studi e con le persone incontrate durante i tirocini: tutti avevano da insegnarmi qualcosa.
Mi sono orientata alla Scuola di Musicoterapia Umanistica in seguito a consigli di persone che poco ne sapevano di arteterapia e di me, ma avevano percepito una mia maggiore attitudine alla relazione e all’ascolto del collettivo piuttosto che ad un’attività da solista performante. Non avevo amato il loro consiglio, sarò sincera, ma grazie a quel germe di curiosità, mi imbattei di lì a poco in un convegno presso il conservatorio dove studiavo. Partecipai e lì ascoltai per la prima volta Giulia Cremaschi Trovesi: il giorno stesso decisi di iscrivermi all’esame di ammissione della Scuola quadriennale di Musicoterapia; ero felicemente in tempo, e di questo gioisco ancora oggi.

Credo che vivere dense giornate di formazione con professioniste come quelle che ho potuto incontrare sia stata un’esperienza unica e preziosissima. Non avevo mai frequentato alcuna scuola con lo stesso entusiasmo e con la fame di esperire cose nuove senza la paura del giudizio.
Anche i tirocini (tutti e soprattutto quelli attivi in cui la professionista mi metteva all’opera continuamente) sono stati svolti nel pieno senso dell’apprendere, dello scoprire e dello scoprirsi in relazione con l’altro.
Giulia ci ha sempre detto, credendoci e guardandoci profondamente negli occhi, che ognuno ha delle risorse proprie e si tratta “solamente” di “tirarle fuori”. Questo il lavoro più grosso che Giulia ci ha aiutato a fare con noi stessi. In quei quattro anni meravigliosi abbiamo sperimentato su di noi il lavoro che va costruito con le persone che incontriamo in musicoterapia: favorire l’espressione delle risorse di ognuno e valorizzarle, grazie ad una relazione che è suono e che dialoga e si rinforza nel suono, nel canto, nell’agire insieme.

Mi sono rispecchiata nel modello della Musicoterapia Umanistica e in questa traccia provo a procedere.
A fronte di un grande carico di energia positiva, di un bagaglio di autostima più consistente, di maggiori competenze, della buona predisposizione verso un lavoro tanto delicato e al contempo tanto energico, la realtà post-scolastica non è stata semplicissima. Il periodo covid ha sgonfiato il grande entusiasmo subito dopo il diploma nel Settembre 2020; ancora oggi, tolte alcune collaborazioni con realtà scolastiche, mi trovo con fatica a individuare spazi o persone che possano comprendere e accogliere progetti di musicoterapia umanistica. Il mio sogno è creare un luogo dove poter svolgere la mia professione, come quello in cui lavorano le musicoterapeute che ho conosciuto, uno spazio libero e solido, tutelante per chi viene e per chi ci lavora. Il mio sogno ancora più grande è una collaborazione con altre professioniste/i arteterapeuti e con il territorio.
Perseguo un percorso tortuoso verso un equilibrio economico che mi permetta di investire, nel frattempo prendo spunto da questo articolo per rilanciare collaborazioni a reti vecchie e nuove, per rigioire insieme!

“MAI PIU’ DA SOLI” Settimana Estiva

La settimana estiva “Mai più da soli” nasce come risposta alle numerose richieste di sostegno che sono pervenute alla Federazione Italiana Musicoterapeuti in seguito alla trasmissione “Che ci faccio qui” che ha presentato il documentario “Giulia & Giulia” del regista Domenico Iannacone andato in onda il 29 marzo 2021 su RAI 3.

Dopo questa trasmissione, tantissime persone hanno scritto alla F.I.M. perché hanno intravisto nella Musicoterapia Umanistica la possibilità di condividere e alleggerire il senso di solitudine e il senso di abbandono che vivono a causa della presenza di uno o più figli disabili, sensazioni che si sono accentuate con la pandemia. E’ necessario tornare ad incontrarsi, fare rete tra genitori e tra genitori e professionisti.

L’arte è uno strumento potente di rinascita, di aggregazione, di riscatto sociale. A partire dalla musica e dalla Musicoterapia, la settimana estiva vuole essere un momento e un luogo per fare esperienza del “fare insieme”, dell’immergersi in attività artistiche, di gioco, di movimento per ritrovare serenità, per guardare i propri figli con occhi diversi, per non sentirsi mai più da soli. Ecco allora che la settimana estiva sarà l’occasione per conoscere la Musicoterapia Umanistica, e fare tante attività artistiche e di formazione.

La settimana “Mai più da soli” non è un centro estivo per bambini con disabilità, ma è rivolta alla famiglia, con il desiderio di:

• fare famiglia

• dare l’opportunità ai bambini con disabilità di fare un’esperienza intensiva di attività artistiche ed educative per tirare fuori il meglio di sé

• avere cura dei fratelli e delle sorelle

• incontrare i genitori, dando spazio al confronto.

L’iniziativa, che si svolgerà dal pomeriggio di domenica 25 luglio 2021 alla sera di giovedì 29 luglio, è destinata a 10 famiglie di bambini con disabilità provenienti da varie parti d’Italia. Cuore dell’idea è farsi carico dell’intera famiglia, offrendo sia momenti da vivere tutti insieme, sia attività specifiche per i vari membri (il bambino, i fratelli /sorelle, la coppia), perché la disabilità è una condizione di vita che riguarda non solo il bambino ma anche la sua famiglia.

La settimana estiva avrà luogo a Crema (CR) presso la Casa del Pellegrino, luogo accogliente e ospitale ai piedi della Basilica di S. Maria della Croce, sede dell’omonima associazione di volontariato che si occupa, oltre alla ristorazione, di organizzare eventi finalizzati alla valorizzazione della Basilica, di promuovere la cultura del volontariato come fattore educativo e di riscatto sociale anche mediante coinvolgimento di persone svantaggiate o appartenenti a categorie fragili della società.

La settimana sarà ricca di attività sia per i bambini con disabilità, che per i fratelli e i genitori:

• Musicoterapia

• Arpa terapia (per le mamme)

• Arte terapia

• Clown terapia

• Attività Montessoriane

• Giochiamo a fare sport

• Musica d’insieme (per i fratelli e sorelle)

• Ippoterapia

• Incontri genitori con i professionisti

• Visite guidate nel Parco del Serio

Il gruppo Scout Crema 3 metterà a disposizione giovani dai 17 ai 20 anni per animare vari momenti delle giornate, organizzare giochi coi fratelli e sorelle, accompagnare le famiglie nelle attività esterne alla Casa del Pellegrino. scommesse bitcoin

Per maggiori informazioni: Paola Beltrami 333 8294355  e musicoterapiafim@gmail.com

Musicoterapia e scuola: un binomio possibile?

Sono Roberta Alberti, Musicoterapeuta certificata.

Dopo il diploma in Conservatorio mi sono formata con Giulia Cremaschi Trovesi e ho lavorato molti anni come Musicoterapeuta, ho preso l’abilitazione come insegnante di Musica nella scuola secondaria di primo e secondo grado, e mi sono specializzata sul Sostegno. Lavoro presso una scuola molto grande, con due sezioni ad indirizzo Musicale. E’ una scuola Potenziata, ciò significa che accoglie anche ragazzi con disabilità molto gravi, oltre a tutti gli altri ragazzi che hanno il sostegno. La scuola dispone di ampi spazi dedicati agli alunni disabili e ai loro compagni di classe (una grande cucina, una stanza relax, la stanza di Psicomotricità) e naturalmente aule adibite alle lezioni di strumento e orchestra. C’è quindi la possibilità di poter avere un’aula libera con il pianoforte. Da anni tengo il Laboratorio di Musicoterapia con cadenza settimanale per due gruppi ristretti di alunni, i più gravi dei quali vengono accompagnati dal proprio insegnante o educatore.

Sono tra i soci fondatori della F.I.M. e ho lavorato a lungo sui princìpi teorici della Musicoterapia. La domanda che mi sono posta è stata: come lavorare dentro la scuola senza tradire i princìpi cardine della Musicoterapia A.P.M.M.?

Per quanto riguarda il setting posso usufruire di una stanza tutta per me, con un pianoforte a muro e spazio per potersi muovere. Porto con me il materiale creato negli anni, materiale unico, che sin da subito desta stupore nei ragazzi e in chi li accompagna. Inizio sempre con un lavoro sul corpo: siamo in un contesto scolastico, i ragazzi arrivano da me dopo alcune ore di lezione, c’è bisogno di creare uno stacco con la realtà circostante, un luogo in cui ci sia la possibilità di sperimentare un ascolto diverso, di sé e degli altri: le sedie sono poste in cerchio intorno al pianoforte, al quale solo io ho accesso. Inizio dando ad ogni ragazzo e a ogni adulto che lo accompagna un oggetto che permetta di lavorare sul corpo attraverso un contatto non troppo invasivo. All’inizio si tratta di sintonizzarsi gli uni sugli altri, in un dialogo che, partendo dalla macro differenziazione tra suono e silenzio, via via si farà  sempre più raffinato, al variare delle mie modalità nel suonare e dei gesti, con intensità di suono differenti, diversi ritmi, diverse velocità di esecuzione.

Il lavoro in piccolo gruppo ha grandi potenzialità: è un lavoro vario, i ragazzi imparano ad aspettare, ad osservare l’altro, a imitarlo, a rispettare i turni. Ognuno di questi aspetti è un importante obiettivo da perseguire, che porta frutto ed è trasversale a tutti gli ambiti. Ogni ragazzo impara a proporre, a esporsi di fronte agli altri, a mettersi in ascolto, ad essere protagonista. Spesso i ragazzi con cui lavoro non sanno proporre, non si concedono il diritto di affermarsi, forse nessuno ha mai guardato a loro come a persone competenti. La Musicoterapia permette a chi è presente di guardare ai ragazzi in modo nuovo, di porre al centro non tanto ciò che manca, ma di vedere la ricchezza che essi già hanno in sé, le potenzialità che aspettano di esprimersi, di poter emergere.

Lavoriamo sul Dialogo Sonoro, sull’uso della voce, sul movimento. Ci avviciniamo al pianoforte, ne percepiamo il suono nel corpo, nelle mani. Cantiamo, dapprima i nostri nomi, poi conte e filastrocche tratte dalla tradizione popolare; lavoriamo sul movimento, con nastri e veli, il tutto sempre guidato dal pianoforte che improvvisa sulla situazione che via via si viene a creare.

Ogni incontro è nuovo, il dialogo e l’interazione tra noi sono sempre una novità, e la relazione cresce dentro il gruppo, grazie alla musica.

Anche la scuola può essere luogo di un cambiamento terapeutico indotto dalla Musica, purché sussistano determinate condizioni e vengano rispettati tutti i princìpi teorici su cui si basa il nostro modello di Musicoterapia.

Inoltre la presenza degli educatori e degli insegnanti di sostegno mi permette di fare un lavoro di formazione: spiego le attività, le inquadro nella cornice dei contenuti teorici, spiego da dove vengono determinati lavori, e dove portano. Nulla è per caso, e questa è un’occasione preziosa di crescita; la fatica maggiore è costituita dal portare gli insegnanti a superare i pregiudizi, il bisogno di dare istruzioni, di intervenire con la parola nei momenti – preziosissimi – di silenzio. Di mettere a tacere l’ansia per la prestazione, che sempre ci permea dentro la cultura in cui viviamo. Voglio che i ragazzi conoscano il bello attraverso la musica, e voglio che questa esperienza apra a loro uno sguardo nuovo su di sé.

 

Roberta Alberti

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.

Leggi le nostre: Privacy Policy / Cookie Policy
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy